Paesaggio. Una parola che ne contiene tante, che muta di significato con il passare del tempo, che è sempre più centrale nella discussione di oggi. Perché il paesaggio è un "progetto sociale, culturale, politico", che cambia con il mondo. E mai come oggi il nostro rapporto con quello che osserviamo, respiriamo, coltiviamo e abitiamo è terreno di scontro ideologico, conflitto, separazione.

È questo il tema di "Il paesaggio che ci riguarda", un pamphlet appassionato di Franco Farinelli, appena pubblicato da Touring Club Italiano nella nuova collana Agorà. Un saggio documentato, battagliero, spesso sorprendente per le sue prospettive inedite, in cui uno tra i più illustri geografi italiani riflette sull'urgenza di tornare a considerare il paesaggio quale metodo di conoscenza del mondo, in grado di tenere insieme le nostre rappresentazioni e la totalità del reale. In un contesto attuale di grandi temi divisivi, come la crisi climatica, e di una rivoluzione digitale che tutto ha reso più volatile ed effimero, Farinelli sostiene che è necessario ricominciare da quello che la fantasia immagina, la società progetta e lo sguardo riflette: ovvero dal paesaggio. "Soltanto nella forma del paesaggio le cose del mondo si danno l'una accanto all'altra", scrive.

Professore, il sottotitolo del suo lavoro parla di "progetto collettivo" e di "metodo sovversivo". In che senso?

L'idea di paesaggio, così come noi la definiamo, è radicalmente mutata appena dopo la Rivoluzione francese grazie a un uomo che è stato tra i più grandi pensatori dell'umanità: Alexander von Humboldt (1769-1859). Humboldt per primo prese un concetto che fino ad allora era puramente estetico e lo fece diventare scientifico. E lo fece in un momento storico che fu un passaggio cruciale per la nostra società: quando la nobiltà di origine feudale passò lo "scettro del potere" alla borghesia. Humboldt capì che alla borghesia, che era destinata a governare il mondo, mancavano gli strumenti di esercizio del potere: i borghesi cioè non sapevano nulla come funzionasse il mondo, perché l'aristocrazia presente fino ad allora li aveva tenuti totalmente all'oscuro. Bisognava allora ripartire da "qualcosa" che già conoscevano: e Humboldt individuò questo qualcosa nel paesaggio, di cui già i borghesi avevano conto (chi non aveva un quadro con un paesaggio in casa?). Da estetico il concetto doveva passare a politico, scientifico, sociale. Bisognava impostare una nuova strategia culturale basata su un nuovo concetto di paesaggio. Ecco perché parliamo di un metodo sovversivo.

Lei ha studiato molto il personaggio di Humboldt. Come pensa che ebbe questa intuizione?

Bisogna innanzitutto guardare alla famiglia di Humboldt. Il padre Alexander Georg, originario della Pomerania, era un ufficiale prussiano e in seguito ai meriti ottenuti nel corso della Guerra dei sette anni fu nominato ciambellano. Nel 1766 sposò Marie Elizabeth von Colomb, figlia di una benestante famiglia ugonotta di origine francese. Ecco, da una parte l'aristocrazia, dall'altra la borghesia: Humboldt aveva in casa uno splendido esempio della commistione di culture, di modi di pensare, di intendere la società. Non credo sia stato un caso che sia stato proprio lui a far leva sulla necessità strategica di un cambiamento di concezione del paesaggio.

Humboldt ha affascinato generazioni di pensatori, geografi, filosofi, sociologi. Anche oggi?

Certamente, tanto che esiste persino una sorta di "confraternita segreta" che si riconosce in questa figura: sono persone che conservano suoi oggetti o che discendono direttamente da lui, o che possono dimostrare che alcuni dei loro antenati l'hanno conosciuto. È radicato a tutti i livelli della stratificazione culturale. Il suo fascino è indiscutibile, ricordiamo che Humboldt fu geografo, sociologo, esploratore, naturalista, botanico. Mi piace sempre ricordare l'episodio in cui il matematico francese François Arago raccontò di quando fu invitato a pranzo da Humboldt, che aveva letto i suoi scritti, e disse: "Quel colloquio fu per me fondamentale, quello che appresi da lui in quel pranzo memorabile mi fece capire cosa significa essere uno scienziato e come fare per diventarlo sul serio".

Tornando al paesaggio, lei punta spesso il dito verso la digitalizzazione, "la miniaturizzazione" che oggi pervade il mondo moderno. Come mai?

Con la rete il paesaggio si ritrae. I segni sono sempre più discosti l'uno dall'altro, sempre più labili, più piccoli. E il paesaggio, nella sua vaghezza, rimane l'unico contenitore possibile. Mi viene in mente la farse con cui si chiude Il nome della rosa, il romanzo di Umberto Eco a cui devo molto: Nomina nuda tenemus, "i nomi nudi sono tutti quello che abbiamo": la realtà ci sfugge, possiamo avere in mano solo i nomi delle cose, non le cose stesse. Ecco, non è proprio così: per capire come il mondo funziona abbiamo il paesaggio. Stiamo uscendo da un regime di funzionamento del mondo che è durato per millenni, abbiamo pochissimi modelli ma molto logorati, avvertiamo la necessità di pensare altrimenti, di aggrapparci a qualcosa. Se il funzionamento del mondo si sottrae alla vista, che ne è della possibilità di continuare a comprenderlo? La risposta è nel paesaggio. Il paesaggio servì come uno straordinario veicolo di rieducazione complessiva per il mondo occidentale, oggi ci sarebbe bisogno di una operazione analoga, visto che diventa sempre meno visibile nelle sue forme. È l'unico modello a nostra disposizione per comprendere l'articolato e sfuggente complesso di fenomeni inclusi nell'idea di globalizzazione.

Anche il concetto di geografia risente di questo passaggio?

Senz'altro. La geografia è stata la forma del primo "patto cognitivo" con la realtà. Fin dai tempi di Strabone, il famoso geografo che scrisse proprio che la prima forma di conoscenza fu quella geografica. La geografia non è mai stata una scienza, ma un contenitore all'interno del quale tutti gli elementi strutturali erano già presenti. Ed è stata la geografia a far proprio il concetto di paesaggio, ancor prima di tutti gli altri saperi. Oggi non resta che affidarsi di nuovo alla geografia, anche se è molto più difficile di una volta, visto che il funzionamento del mondo si sta ritraendo dalla "visibilità" che ai tempi di Humboldt esisteva ancora.

INFORMAZIONI

Il paesaggio che ci riguarda, di Franco Farinelli
Collana Agorà
Pagine 120, formato 12x18 cm
Prezzo 16 euro, agli iscritti TCI 12,80 euro
In tutte le librerie, nei Punti Touring, sugli store online e su touringclubstore.com.
Gli iscritti Touring hanno diritto al 20% di sconto nei Punti Touring e sullo store online

Guarda la presentazione di Ottavio Di Brizzi, direttore editoriale Touring, delle quattro nuove collane pubblicate a novembre 2024