Il compito dei filosofi è stimolare le persone a farsi domande. Dubitare di quel che conoscono, di quel che sentono dire, persino quel che hanno davanti agli occhi, per incoraggiare una riflessione più ampia e profonda. Un metodo che può applicarsi a qualsiasi campo della vita, anche al cibo. È quel che fa il filosofo e scrittore britannico Julian Baggini, gallese di padre italiano, autore di Pensa come mangi, primo volume della nuova collana Arcipelago del Touring Club Italiano.

Oltre due secoli fa il gastronomo francese Anthelme Brillat-Savarin scrisse: «Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei». Frase citata in qualunque contesto quando si parla di cibo, al punto di diventare un motto di uso comune. Frase che andrebbe perlomeno aggiornata. «A voler essere onesti oggi dovrebbe essere: “dimmi cosa mangi e da dove viene”» spiega Baggini. «E quel “da dove viene”, non è una questione puramente di origine geografica, ma sottintende una gran quantità di domande assolutamente necessarie quando parliamo di cibo, domande che però non ci facciamo mai: chi l’ha prodotto e in che condizioni? Quanto è inquinante la sua produzione? Quanto è stato trasformato? Quante calorie contiene? Quanto è salutare per noi e per l’ambiente?». 

L’IMPORTANZA DI FARSI DOMANDE

Domande complesse, «perché complesso è il mondo alimentare contemporaneo» spiega Baggini «anche se noi non siamo abbastanza consapevoli di quanti elementi coinvolga davvero: dalle fattorie dove migliaia di animali vengono ingrassati in spazi angusti al sistema dei trasporti intercontinentali della frutta, dall’inquinamento legato a pesticidi e diserbanti a quello legato agli imballaggi per i cibi ultraprocessati di cui sempre più spesso ci nutriamo. Per non parlare poi di quanto il cibo incida sui nostri corpi e sulla nostra salute». Domande cui risponde Baggini, costruendo una ambiziosa quanto necessaria filosofia del cibo. E lo fa con quello stile tipico degli anglosassoni che hanno l’invidiabile capacità di fare divulgazione scientifica con uno stile accattivante, mai pesante, sempre piacevolmente narrativo e convincente. «I libri sul cibo tendono a parlare di cose semplici, come le diete» aggiunge «spesso sono prescrittivi, “fai questo, mangia quello”, e si concentrano su messaggi comprensibili e semplificati: “scegli l’organico per salvare il mondo”, oppure all’opposto “solo la tecnologia potrà sfamare il piante”. Ma la situazione è molto più complessa, e il compito dei filosofi è proprio prendere consapevolezza di questa complessità e renderla comprensibile». 

Per questo Julian Baggini non si limita ad analizzare il sistema alimentare fatto di produzione, trasformazione e commercializzazione ma parla di mondo alimentare, un concetto molto più esteso, che fuoriesce dalle solite analisi vincolate agli aspetti economici, nutrizionali e gastronomici, e porta la riflessione su un piano più alto e omnicomprensivo. «Il mondo alimentare allora è un ecosistema organico in cui ogni parte – contadini e consumatori, dettaglianti e grandi industrie, animali allevati e lavoratori senza diritti – è collegata a tutte le altre. Solo pensando questo tutto in modo olistico possiamo affrontare le sfide che ci pone il sistema del XXI secolo. Un sistema produttivo che, se da un lato oggi assicura cibo a tutti a un prezzo accessibile, dall’altro ha una gigantesca impronta ecologica, pari a un terzo delle emissioni di gas serra e il 70% del consumo idrico globale. E tutto questo, a lungo andare, non è sostenibile». 

L’ITALIA? UN PAESE COME TUTTI GLI ALTRI

Eppure non sembriamo rendercene conto, specie nel nostro Paese. «In Italia siate abituati a pensare che da voi il sistema sia un poco diverso, più a misura d’uomo, ma non è così. Pensate che sia tutto ancora tradizionale... è una illusione, piace pensare che sia così, ma l’industrializzazione dei prodotti è molto sviluppata anche da voi, come in Francia che è un altro Paese ci si culla in questo mito. Un dato significativo: in Francia il 24% dei croissant consumati è industriale, decongelato, in Inghilterra che non è certo il Paese del buon cibo nell’immaginario, solo il 22%, e in Italia basta andare al bar per rendersene conto. Ed è così ormai da tanto tempo: prendiamo il panettone che tutti pensano sia tradizionale, è nato come frutto di un processo industriale che ha una precisa data di nascita, eppure tanti pensano che sia un prodotto artigianale e tradizionale».

«Il punto allora è che non conosciamo abbastanza l’origine di quel che mangiamo e neanche ce lo domandiamo», sottolinea Baggini. Laddove l’origine non è solo una curiosità storica, ma qualcosa di più importante e decisivo. «Prendiamo i pomodori, di cui l’Italia è uno dei più grandi produttori mondiali, soprattutto di quelli in latta. Una delle gioie quando vengo in Italia è sempre stata mangiarli, pensando “ah arriva dall’orto, ha un sapore diverso”. Ma negli ultimi anni non sono più gli stessi, li mangi e non hanno gusto». Come dargli torto. «Magari vengono dall’Olanda, che è il secondo produttore al mondo grazie ai progressi della sua agroindustria. E se anche vengono dall'Italia, da che contesto arrivano? Quando parliamo di cibo dobbiamo parlare di tutta la catena produttiva, dell’inquinamento che generano certe coltivazioni ma anche del costo sociale. I campi di pomodori, in Italia come in Spagna, spesso sono il luogo della nuova schiavitù. Altro che contadini felici: ci sono persone, spesso immigrati, che lavorano in condizioni pessime, senza diritti elementari. Ecco, se pensiamo al cibo nel suo complesso, non possiamo non pensare alle persone che lavorano per produrlo. E non dobbiamo pensare che solo il cibo prodotto dalle multinazionali ponga delle questioni etiche: anche il cibo locale ha dei problemi. E dobbiamo esserne consapevoli, quando mangiamo un pomodoro o quando beviamo un caffè», prosegue. 

CIBO INDUSTRIALE E CIBO BIOLOGICO

Spesso pensiamo che alla base di tutto questo ci siano solo le grandi imprese e il sistema di produzione capitalistico, ma è un pensiero che di nuovo non tiene conto della complessità. «È vero che esiste una tecnocrazia che grazie alla tecnologia di cui è detentrice cerca la massima efficienza nel nutrirci in abbondanza, facendo profitti, ma non è solo questo. Il mondo alimentare contemporaneo riguarda i nostri valori fondamentali, il nostro modo di rapportarci agli altri, che siano essere umani o animali, e il nostro stesso capire il mondo» spiega Baggini. «Il sistema alimentare di oggi sembra efficiente, almeno in Occidente riesce ad assicurare a tutti abbastanza cibo a un prezzo accessibile. Anzi, in verità ormai fornisce fin troppo cibo e troppo trasformato, visto che il 60% delle calorie viene da cibi lavorati. Tant’è che il sovrappeso è diventata una delle malattie che più incidono sulla salute collettiva. Allora dobbiamo farci una domanda: è un sistema davvero sostenibile nel lungo periodo? Non lo è, perché alla base di tutto ci sono monoculture che dipendono da fertilizzanti e pesticidi, viaggi transcontinentali di risorse ottenute sfruttando lavoratori e natura, allevamenti intensivi e sistemi di trasformazione che fanno del cibo solo una merce». 

Contro questo sistema è cresciuta ovunque nel mondo la spinta e l’attenzione verso il biologico, come sa fosse unica possibile ancora di salvezza, che però secondo Baggini non è sufficiente. «È ovviamente una buona cosa la scelta biologica, ma non basta. Oggi riguarda una minoranza delle persone, le più informate e spesso con una buona capacità di spesa, ma non risolve i problemi generali: perché dobbiamo pensare che il compito del sistema alimentare è fornire cibo salutare a tutti. Per farlo la tecnologia è fondamentale, è un grande aiuto per assicurare le rese necessarie, non ha alcun senso pensare a un mondo produttivo che si rivolge solo alle tecniche del passato, favoleggiando di un ritorno a un vecchio mondo rurale che non sfama tutto il mondo», spiega. 

IL NECESSARIO RITORNO DELLA POLITICA

Se neanche il biologico è la risposta, allora la situazione sembrerebbe senza via di uscita. Ma Baggini non è così pessimista, tutt’altro: Pensa come mangi è un libro che traccia percorsi per un cambiamento. «Bisogna agire. Ma è illusorio pensare che l’azione dei singoli consumatori responsabili e consapevoli possa bastare. Ognuno deve fare la cosa giusta, deve provarci, ma questo non cambierà il sistema. Bisogna capire che il livello è più alto, che si deve intervenire su una scala globale, di sistema. E per farlo si deve iniziare a pensare al cibo come istanza politica. Se gli racconti le cose come stanno, la situazione dei contadini e dei lavoratori, la gente concorda che il cibo deve essere più costoso, per assicurare maggior dignità a tutti gli elementi della catena. Ma poi all’atto pratico è difficile farlo, perché la gente non se lo può permettere di pagare di più il cibo sano, e sceglie quello dannoso. Dunque la soluzione è cambiare il sistema dalla base, iniziando a combattere la povertà, guardando al mondo alimentare non tenendo conto solo del prezzo del cibo, o della quantità dei suoi nutrienti, ma alla sua qualità per la società».

Questo perché, anche se ce lo si dimentica, il cibo è centrale nelle nostre vite. «Ma questa consapevolezza è ancora minima, forse ancor meno di un tempo in cui la parte maggior parte dell’esistenza era spesa a procacciarselo. Ma proprio per cui è così centrale nelle nostre vite è necessario trovare valori e principi su cui concordare tutti, consumatori e produttori, aziende e Stati». Anche se, viene il dubbio, che sia perlomeno naif pensare che le grandi aziende possano rinunciare a una parte di profitti in nome di un mondo alimentare più giusto. Baggini non è d’accordo. «Le grandi multinazionali del cibo cambieranno se dovranno» assicura. «Sono aziende, e le persone che ci lavorano sono più veloci e adattive di quanto non siano quelle che lavorano per i governi, che sono sistemi lenti. Ma se a livello politico interviene sui regolamenti, fai scelte che costringono il sistema a cambiare allora ti seguiranno, saranno obbligate a farlo. Chi lavora nell’industria ha figli, ha consapevolezza delle cose, vogliono fare soldi, ma non ucciderti. Se lasci che unica leva sia il prezzo, allora non cambierà nulla. Ma se punti su altro, sulla sostenibilità allargata, se a livello pubblico decidi che nelle mense delle scuole, negli ospedali e nelle case di riposo, tutto il cibo è etico, sostenibile, buono da pensare e buono da mangiare, allora le grandi aziende dovranno adeguarsi, altrimenti finiscono fuori mercato. Ed è qualcosa che non possono permettersi» sottolinea Baggini.   

LA PROSPETTIVA OLISTICA

Per farlo bisogna cambiare il nostro modo di pensare al cibo. E affrontare il problema in modo olistico – che è il più importante dei sette pilastri in cui Baggini struttura il suo ragionamento conclusivo. «Dove olistico va a braccetto con varietà: ovvero – spiega – non pensando a ricette che siano le medesime in tutto il mondo, ma che siano varie, puntuali, come è varia la realtà dei terreni che producono e varie sono le nostre abitudini alimentari». Pensa come mangi diventa allora un esercizio di riflessione sul mondo alimentare ben più profondo del limitarsi a chiacchierare di piatti, ristoranti e ricette. «Diventa la base di una nuova filosofia olistica che rimette il cibo nella sua complessità al centro del nostro pensiero». Questo libro spiega come farlo.

INFORMAZIONI

Parla come mangi, di Julian Baggini
Collana Arcipelago
Pagine 512, formato 14x21 cm
Prezzo 19 euro, agli iscritti TCI 15,20 euro
In tutte le librerie, nei Punti Touring, sugli store online e su touringclubstore.com.
Gli iscritti Touring hanno diritto al 20% di sconto nei Punti Touring e sullo store online