Sara Caputo, torinese, non è un'accademica come te l'aspetti. Innanzitutto è molto giovane, anche se il suo curriculum è già denso di esperienze - nel Regno Unito, ma anche in Germania e in California, fino ad arrivare al suo ruolo attuale, "Senior Resarch Fellow" al Magdalene College di Cambridge. Poi è molto disponibile a raccontare in parole semplici, senza tecnicismi o voli pindarici, il suo lavoro di ogni giorno: ovvero come si fa ricerca, come si costruisce una tesi, come si dipana quell'enorme matassa che è la storia marittima, il suo campo di studi. D'altronde, anche leggendo "Sentieri sull'acqua", il suo nuovo saggio pubblicato da Touring nella collana "Andante", una cosa colpisce subito: il desiderio di trasformare una ricerca accademica in un lavoro di divulgazione accessibile a tutti, denso di racconti, vicende avventurose, scherzi del destino, aneddoti su uomini e donne che hanno solcato i mari e lasciato un segno - una traccia, un tracciato, come vedremo - nella storia del mondo.
Sara, iniziamo da lontano. Come le è venuta l'idea di studiare la storia marittima? Cosa le interessa particolarmente di questo tema?
Già da piccola ero affascinata dall'esplorazione, dai libri di Salgari, dalle mappe. Poi in realtà la tesi della mia prima laurea è stata sui tornei medievali. Ma mi interessava dal punto di vista concettuale il tema della fluidità dei confini nazionali e mi sono trovata a studiare storia marittima per il mio progetto di dottorato, in particolare il fenomeno dei marinai stranieri che erano assoldati dalla Marina britannica nel Sette-Ottocento, in un momento importante per la costituzione dello Stato. Quant'era importante che i marinai fossero inglesi o meno, quando la flotta navigava e conquistava per la Corona britannica? Chi lo decideva? Ecco, da allora non ho più lasciato questo campo di ricerca.
Su quel tema ha scritto un lavoro accademico. Invece ora ha deciso di dedicarsi a un libro divulgativo, adatto a tutti. Come mai?
Il progetto è nato durante il periodo pandemico, quando ho vinto un concorso per un libro di un accademico che fosse accessibile per il grande pubblico. Avevo accumulato già molte fonti sul tema dei tracciati nella cartografia marittima, così ho pensato che fosse il soggetto giusto. Sono convinta che noi studiosi non siamo affascinati da cose diverse da chi non è studioso. In questo caso, poi, nella storia dell'esplorazione e della creazione cartografica ci sono così tante vicende che meritano approfondimento... così, sono partita dalla mia ricerca e a mano a mano ho cercato di dare respiro alla storia. Naturalmente ho alleggerito molto il testo, lasciando però moltissime note a piè di pagina compete di bibliografia, per chi avesse piacere di approfondire. Nelle monografie accademiche spesso ci si occupa meno della leggibilità del testo, qui invece è stato un punto di partenza: ed è stato un processo di grande soddisfazione.
Veniamo alla ricerca. Come dicevamo, il tema è quello del tracciato, "track" in inglese, nella rappresentazione cartografica, tanto che il titolo in inglese è "Tracks on the Ocean". Di che cosa si tratta?
La domanda alla base è molto semplice: come mai sulle mappe immaginiamo i nostri viaggi come linee? Perché rappresentiamo il nostro movimento come una scia, in aria, in terra come sull'acqua? Prima del Cinquecento queste linee non erano in uso, quindi la mia teoria è che per comprendere le loro origini dobbiamo guardare alla storia dell'espansione marittima. Ecco, ho cercato di capire come l'utilizzo di questi tracciati sia nato e poi cambiato nel tempo, e a quali scopi sia servito.
Da qui anche l'ossimoro del titolo "Sentieri sull'acqua", dove "sentieri" ci rimanda subito alla terra.
Esatto. In inglese la parola track significa molte cose. Già mentre lavoravo al progetto, mi ero chiesta varie volte come avrei potuto renderla in italiano: sentiero? rotta? traccia? Mi è venuta in mente anche la "trazzera" di Camilleri… Poi le traduttrici Elena Cantoni e Irene Annoni hanno proposto "tracciato", che anche ha un valore tecnico, e l'idea mi è piaciuta molto. Anche se per il titolo abbiamo preferito "Sentieri sull'acqua" perché rende meglio l'ossimoro di una via, una strada sul mezzo liquido, proprio come in inglese.
Che cosa significa lasciare un "sentiero sull'acqua"?
I tracciati di viaggio nacquero naturalmente come rotte, come strumenti coloniali necessari per la navigazione oceanica, ma fin da subito il loro significato andò a trascendere le funzioni pratiche: il "lasciare una scia" si legò al concetto di scoperta, a chi arriva primo, all'occupazione territoriale, alla geosorveglianza, al presunto dominio dell'uomo sull'ambiente naturale. Quello che interessante è proprio il cambio di valenza del tracciato a seconda del periodo storico. E capire come mai prima del Cinquecento nessuno ci aveva pensato, o comunque non aveva sviluppato quest'idea. Nel libro seguo uno sviluppo cronologico, partendo dall'antichità, passando poi ai portolani medievali e all'epoca delle esplorazioni, per poi approdare al Settecento, quando si iniziò davvero a "scrivere sull'acqua", all'Ottocento e al Novecento.
Le fonti sull'argomento, le mappe disponibili, i trattati sul tema sono innumerevoli... come si è documentata per la sua ricerca?
Mi sono resa conto che dovevo leggere tutto quello che esisteva sull'argomento! Ho la fortuna di vivere e lavorare a Cambridge, dove è conservato davvero di tutto: si può dire che abbia saccheggiato ogni biblioteca della città... non le dico quanti libri io abbia in casa! Di manoscritti originali che non è possibile prendere in prestito fai fotografie, migliaia di fotografie, per poi riguardarle con calma a casa. Riguardo alle carte, molte sono digitalizzate oggigiorno, soprattutto quelle conservate negli archivi americani, ma sono andata anche a cercarle fisicamente a Londra, in Francia, in Italia. È stato un processo molto stimolante. Metà dei miei ringraziamenti sono per archivisti e bibliotecari, persone sempre squisite e generose che dedicano la loro vita a "mettere in ordine" le cose per chi poi vorrà ricercarle. Senza il loro lavoro nessuna ricerca di questo genere sarebbe possibile. L'altra metà dei ringraziamenti è invece per colleghi ed esperti di ogni genere che ho potuto coinvolgere, in uno scambio sempre proficuo.
Nel suo saggio racconta decine di mappe e altrettante storie di uomini e donne che hanno creato quelle mappe e segnato i loro tracciati. Ce ne sono moltissime che sarebbero da ricordare, dal Papiro di Artemidoro a James Cook, da Francis Drake a Magellano, da T.E Lawrence fino al capitano Achab di Moby Dick. C'è una storia o una mappa che l'ha colpita particolarmente?
Più di una! Ma ricordo in particolare la mappa disegnata da Charles Marsden, un sottufficiale alla navigazione britannico che aveva partecipato alla battaglia dello Jutland, una delle più grandi battaglie navali della storia, iniziata il 31 maggio 1916. Il sottufficiale doveva tenere traccia della posizione della nave ogni mezzora, segnandola su una carta. Dalle 14.35 alle 22.15 annotò ogni coordinata della nave, che in serata finì sotto fuoco tedesco: le condizioni erano terribili, i bombardamenti incessanti, eppure lui continuò a fare quello che gli era stato ordinato, ovvero prendere i punti e segnarli in mappa: alcune macchie marroni presenti sulla cartina, tra l'altro, potrebbero essere gocce di sangue. Un senso di disciplina straordinario eppure comune nelle marine europee. L'unico modo per capire cosa succedeva dall'altra parte del mondo era inculcare nei marinai un senso del dovere tale da non poter mettere neppure in dubbio che qualcuno potesse mentire nel segnare una linea. Era questione di onore e responsabilità. I tracciati navali non erano più strumenti di rilevamento, ma di sorveglianza, usati nelle corti marziali come prova della "condotta" dei mezzi: da quelli si capiva come si era spostata la nave, cosa aveva pensato di fare il capitano, quali azioni avesse condotto. Oggi è tutto cambiato: il tracciato è registrato automaticamente da un navigatore inserito nello smartphone, non servono più né la disciplina, né la collaborazione, né il consenso di nessuno. Ringrazio quell'uomo, che poi sopravvisse alla battaglia, per aver donato quella cartina al Churchill College di Cambridge, dove l'ho "ritrovata" e raccontata.
Lasciamo ai lettori la scoperta di altre mappe e storie come questa, totalmente d'accordo con l'autrice Katherine Parker che di "Sentieri sull'acqua" ha scritto "una ricerca rigorosa ma avvincente, che si legge con il fiato sospeso". Un'ultima domanda: sta già lavorando per un prossimo libro?
Le idee non mancano mai e spesso si lavora su progetti in parallelo! Da anni indago sulla storia della medicina navale nel Sette-Ottocento, un momento di grandi cambiamenti sia per la storia della medicina sia per quella navale. In particolare sto studiando come funzionava il servizio sanitario nella Marina britannica, francese e spagnola, come i marinai si interfacciavano con le strutture mediche di queste flotte. Sarà una monografia accademica, questa volta. Ma sono sempre disponibile a raccontarla al grande pubblico...
INFORMAZIONI
Sentieri sull'acqua, di Sara Caputo
Collana Andante
Pagine 408, formato 14x21 cm
Prezzo 19 euro, agli iscritti TCI 15,20 euro
In tutte le librerie, nei Punti Touring, sugli store online e su touringclubstore.com.
Gli iscritti Touring hanno diritto al 20% di sconto nei Punti Touring e sullo store online
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