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No, non è la tomba di Romolo. Dopo giorni di titoli avventurosi e fuorvianti che ipotizzavano il ritrovamento della tomba del fondatore della capitale, a fare chiarezza è arrivata nella scorsa settimana la spiegazione ufficiale della direzione del Parco archeologico del Colosseo.
Quello che si è riportato alla luce sotto l’ingresso della Curia Iulia è il vano ipogeo che già era stato scoperto da Giacomo Boni nel 1899, un memoriale databile al VI secolo a. C. cui accedevano gli antichi per il culto e il ricordo collettivo della fondazione di Roma. Una sorta di luogo di pellegrinaggio.
Quello che si è riportato alla luce sotto l’ingresso della Curia Iulia è il vano ipogeo che già era stato scoperto da Giacomo Boni nel 1899, un memoriale databile al VI secolo a. C. cui accedevano gli antichi per il culto e il ricordo collettivo della fondazione di Roma. Una sorta di luogo di pellegrinaggio.
LA PRIMA SCOPERTA DI BONI A FINE '800
A scendere nei particolari nella spiegazione della scoperta è Alfonsina Russo, direttrice del Parco archeologico del Colosseo. La Russo ha sottolineato come si sia tornati a indagare lì dove già nel 1899 l’archeologo Giacomo Boni aveva rinvenuto una «cassa a vasca rettangolare in tufo, lunga 1,40 larga m 0,70, alta m 0,77, di fronte alla quale sorge un tronco di cilindro in tufo, del diametro di m 0,75».
Il ritrovamento è avvenuto alla base del Palatino verso il Circo Massimo, l'area dove in una grotta-santuario la lupa avrebbe allattato i mitici gemelli e sopra la quale si conservò fino alla fine dell’Impero un altare sul quale Romolo avrebbe celebrato parte del rito di fondazione. Non solo. Qui fu restaurato e più volte ricostruito un santuario creduto fondato dal primo re, e nel Comizio, presso l’angolo nord-ovest del Foro Romano, dove si riuniva l’antica assemblea delle curiae si conservava il santuario dedicato a Vulcano, dio del Fuoco.
Il ritrovamento è avvenuto alla base del Palatino verso il Circo Massimo, l'area dove in una grotta-santuario la lupa avrebbe allattato i mitici gemelli e sopra la quale si conservò fino alla fine dell’Impero un altare sul quale Romolo avrebbe celebrato parte del rito di fondazione. Non solo. Qui fu restaurato e più volte ricostruito un santuario creduto fondato dal primo re, e nel Comizio, presso l’angolo nord-ovest del Foro Romano, dove si riuniva l’antica assemblea delle curiae si conservava il santuario dedicato a Vulcano, dio del Fuoco.
L'ipogeo ritrovato al Foro Romano
LE TAPPE DELL'ULTIMO RITROVAMENTO
Ma cosa è accaduto in 120 anni di scavi? La versione più accreditata è quella che nel 1899 Boni più che a quel ritrovamento dell'ipogeo preferì dedicarsi all’area del Lapis Niger (collegata alla morte di Romolo) e al Comitium, luogo di assemblee dell’antica Roma. Poi, a rendere inaccessibile il ritrovamento di Boni fu negli anni Trenta del Novecento una scalinata di accesso alla Curia Iulia realizzata da Alfonso Bartoli, nei tempi in cui era stata richiamata alla luce la Curia cesariana ed era stata demolita la chiesa di san Adriano.
Ma sia Boni che Bartoli avevano pensato a colleghi e posteri e fecero di tutto per rimettere sulle tracce del luogo sacro. Infatti, proprio le istruzioni e i disegni dello stesso Boni hanno permesso agli archeologi del Parco del Colosseo di ritrovare intatto il vano. Anche Bartoli lo aveva salvaguardato, proteggendolo con pilastri in mattoni e un solaio di travi in ferro. Era più grande in origine e fu tagliato per far posto alle fondazioni della Curia, che però mantenne due botole per accedervi. Per riconquistare quello strato di una Roma perduta, si sono smantellate le scale riaprendo il percorso verso il basso.
Anche se non si tratta della tomba di Romolo, il poeta Orazio e il letterato Varrone, uno dei grandi conoscitori della città, non posizionavano quest’ultima troppo distante. Varrone infatti collegava la tomba di Romolo ai Rostra, alla base del triangolo del Comitium, mentre la vasca appena ritrovata è appena sopra, sul lato del Tribunale e della Curia Iulia.
La ricerca delle origini della città eterna si apre a un nuovo appassionante capitolo, in cui districarsi tra mito e realtà.
Ma cosa è accaduto in 120 anni di scavi? La versione più accreditata è quella che nel 1899 Boni più che a quel ritrovamento dell'ipogeo preferì dedicarsi all’area del Lapis Niger (collegata alla morte di Romolo) e al Comitium, luogo di assemblee dell’antica Roma. Poi, a rendere inaccessibile il ritrovamento di Boni fu negli anni Trenta del Novecento una scalinata di accesso alla Curia Iulia realizzata da Alfonso Bartoli, nei tempi in cui era stata richiamata alla luce la Curia cesariana ed era stata demolita la chiesa di san Adriano.
Ma sia Boni che Bartoli avevano pensato a colleghi e posteri e fecero di tutto per rimettere sulle tracce del luogo sacro. Infatti, proprio le istruzioni e i disegni dello stesso Boni hanno permesso agli archeologi del Parco del Colosseo di ritrovare intatto il vano. Anche Bartoli lo aveva salvaguardato, proteggendolo con pilastri in mattoni e un solaio di travi in ferro. Era più grande in origine e fu tagliato per far posto alle fondazioni della Curia, che però mantenne due botole per accedervi. Per riconquistare quello strato di una Roma perduta, si sono smantellate le scale riaprendo il percorso verso il basso.
Anche se non si tratta della tomba di Romolo, il poeta Orazio e il letterato Varrone, uno dei grandi conoscitori della città, non posizionavano quest’ultima troppo distante. Varrone infatti collegava la tomba di Romolo ai Rostra, alla base del triangolo del Comitium, mentre la vasca appena ritrovata è appena sopra, sul lato del Tribunale e della Curia Iulia.
La ricerca delle origini della città eterna si apre a un nuovo appassionante capitolo, in cui districarsi tra mito e realtà.
INFORMAZIONI E APPROFONDIMENTI
Scopri di più sui siti e gli scavi del Foro Romano sul sito ufficiale parcocolosseo.it
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