
Passione ciclistica e valorizzazione del territorio trovano slancio, ancora una volta, nella virtuosa collaborazione tra Touring Club Italiano e Autostrade per l'Italia nell'ambito del progetto “Wonders. Scopri l’Italia delle meraviglie”, che da tempo accompagna il Giro d’Italia promuovendo esperienze di viaggio nei pressi delle tappe della Corsa Rosa. Mentre il Giro si prepara a scrivere nuove pagine di storia sulle strade d'Italia, l'attenzione si focalizza non solo sulle gesta degli atleti, ma anche sul palcoscenico unico che li ospita, dove la sfida si misura spesso con la forza di gravità.

L'aria è carica di attesa, un'elettricità palpabile che annuncia il Giro d'Italia 2025. Le squadre affilano le strategie, i campioni limano la condizione, ma tutti sanno che, ancora una volta, sarà la strada che sale a emettere i verdetti più importanti. La sfida per la Maglia Rosa si giocherà metro dopo metro sui pedali, soprattutto quando l'asfalto si impennerà.
La salita, nel ciclismo, è un rito, una sfida ancestrale lanciata dall'uomo alla montagna. È il respiro che si fa affannoso, sincopato, il cuore che martella e i polmoni in cerca di ossigeno che non basta mai. È l'acido lattico che brucia i muscoli, la goccia di sudore che scende lenta sulla fronte e brucia negli occhi. La salita è anche silenzio irreale, rotto solo dal proprio ansimare e dal rumore bianco e gentile della catena e delle ruote che girano sulla strada. È il panorama che si svela, magnifico e indifferente, a ogni tornante conquistato. È un dialogo interiore, una lotta contro il demone della resa, la ricerca di un ritmo che diventi quasi ipnotico. È qui, su queste pendenze che sembrano non finire mai, dove risuona l'eco di imprese leggendarie, che il ciclismo si spoglia di ogni orpello e rivela la sua anima più pura, essenziale e, a tratti, meravigliosamente crudele.
Qui vi raccontiamo alcune delle ascese più simboliche. Quelle che hanno scolpito vittorie eroiche, dalle vertiginose serpentine dello Stelvio di Coppi alle implacabili rampe del Mortirolo di Pantani, fino alla fortezza di pietra del Blockhaus conquistata da Merckx. Quelle che elevano corpo e spirito fino ai santuari della Madonna del Ghisallo e di Oropa. Infine, quelle che attraversano sterrate polverose e paesaggi ora bucolici, ora impervi: dalla sinfonia di colori tenui delle Crete Senesi alla potente e quasi ultraterrena scenografia lavica dell'Etna.
Le salite delle grandi imprese
Pensate al Passo dello Stelvio, il Re dei valichi alpini fra Alto Adige e Lombardia. Salire dal versante di Prato significa affrontare un monumento di circa 24,3 chilometri. Non sono solo chilometri, sono un'ascesa verso l'Olimpo dei ciclisti, scandita da 48 tornanti numerati, un serpente d'asfalto che si avvita su sé stesso con pendenze che non danno tregua. In alto l’aria si fa rarefatta, il vento sferza le rocce nude mentre lo sguardo si perde verso le cime del gruppo Ortles-Cevedale. Qui, nel 1953, Fausto Coppi scrisse una delle pagine più epiche del Giro d'Italia, staccando Hugo Koblet e involandosi in maglia rosa verso la leggenda. L’Airone sferrò un attacco solitario su rampe innevate, pedalando con una determinazione sovrumana in un'epopea contro l’ostilità della natura. Proprio in onore del Campionissimo, e a partire dal 1965, la vetta più alta scalata in ogni edizione del Giro d'Italia viene designata "Cima Coppi".

Fu invece Marco Pantani a conquistarsi la gloria sulla temibile salita al Passo del Mortirolo, 1300 metri di dislivello con pendenze che non mollano mai. Una strada a tratti molto stretta che sconfina dalla Valtellina in Val Camonica arrampicandosi per 12,5 chilometri in mezzo ai boschi fino ai 1842 metri di altitudine. Era il Giro del 1994, tappa Merano-Aprica. Un giovanissimo Pirata, ancora senza bandana, scatta a 60 chilometri dal traguardo. Leggero, quasi etereo, mentre gli altri soffocano. Lascia tutti indietro: Indurain arranca, Berzin, la maglia rosa, si piega sotto la furia. Pantani invece vola via, agile, inesorabile.
Scendendo in Abruzzo, è il massiccio della Maiella a regalarci l’ascesa più dura, quella alla cima del Blockhaus. Solo il nome evoca qualcosa di inespugnabile. Come il fortino costruito ai tempi dell’Unità d’Italia da un comandante militare austriaco e dal suo plotone di bersaglieri a difesa dei briganti. Lassù, in cima. Si capisce fin dai primi metri che la salita non sarà una passeggiata. La strada si inerpica subito ripida, inchiodando il ritmo. Nel 1967 in quel Giro d'Italia che per la prima volta osava sfidare questa montagna, un giovane Eddy Merckx ha svelato al mondo la sua voracità agonistica. Pedalata potente e regolare, inflessibile come un metronomo, il Cannibale tagliò il traguardo in solitaria, con un distacco abissale sul secondo.
Le salite che santificano
Due salite, due santuari: Madonna del Ghisallo e Oropa. Nomi che risuonano nel cuore di ogni ciclista come una preghiera laica, ascese che non sono solo fatica, ma un vero e proprio pellegrinaggio su due ruote.
Affrontare i tornanti che portano al Ghisallo, con il panorama del Lago di Como che si apre quasi a ogni curva, è un cult per ogni ciclista. Grande classico il percorso che parte da Bellagio, con tratti subito impegnativi, che mordono con punte oltre il 14% nei primi chilometri. In cima la chiesetta dedicata alla patrona dei ciclisti, accoglie i devoti del pedale con le bici e le maglie dei campioni che diventano quasi reliquie laiche, appese come ex-voto moderni. Accanto, il Museo del Ciclismo è una tappa obbligata: un tributo a tutti gli eroi che hanno trasformato la strada in leggenda.

Poi c'è Oropa. Una salita diversa, più severa, aspra e solenne. Resa immortale dalle imprese del Giro d'Italia – chi non ricorda la rimonta di Pantani al Giro del 1999? –, parte da Biella e sale per 750 metri di dislivello. In vetta, il santuario mariano incastonato tra le Alpi ha qualcosa di mistico: silenzio, aria sottile e la sensazione di aver conquistato qualcosa di più di una cima, un luogo simbolo, carico di storia religiosa e ciclistica.

Salite bianche, salite nere
Agli antipodi per natura e spirito la salita di Monte Sante Marie, tra le Crete Senesi, e l’ascesa dell’Etna.
Pensate ora ai i ciclisti di una volta. Con le bici cigolanti e pesanti più di loro. Se lo ricorda ancora Francesco Moser: «le bici si rompevano, e poi si aggiustavano, ma ogni volta che si rompevano e si aggiustavano diventavano più fragili, più vulnerabili, e si rompevano ancora, e si rompevano prima». Quel ciclismo stoico, fatto di polvere, fatica e mezzi al limite, rivive ancora oggi sulle strade tracciate dall’Eroica, una gara d’altri tempi su sterrate tutte toscane, in sella a biciclette vintage. Il settore di Monte Sante Marie, nei pressi di Asciano, riserva circa 11 chilometri di strade bianche che si snodano tra le colline e i calanchi delle Crete Senesi, di cui 4,5 chilometri in salita, con punte di pendenza che toccano anche il 18%. Niente asfalto quindi, ma un fondo sconnesso, che costringe a un ballo costante con il manubrio, mentre polvere o fango si attaccano alla pelle e alla bici. Non ci sono tornanti numerati, ma un susseguirsi di curve secche, discese tecniche e tratti ondulati. Se volete vivere in prima persona questi candidi saliscendi, l’experience di Touring che trovate su Wonders.it è ciò che fa per voi: un itinerario su due ruote tra borghi e Crete senesi, lungo tracciati e varianti dell’Eroica.

L’Etna, invece, è un’altra musica. Nera, scarna, lunare. Più volte protagonista del Giro d'Italia su versanti diversi, è una salita che incute rispetto solo a guardarla. È lunga, molto lunga, con pendenze che cambiano, a volte dolci, a volte arcigne, messe a dura prova dal vento che scuote le biciclette come fossero ramoscelli. E mentre il paesaggio cambia alternando boschi di pini alle colate laviche e alle ginestre che colorano la pietra scura, l’altitudine si fa sentire e il silenzio diventa totale, rotto solo dal fruscio delle ruote sull’asfalto ruvido. Arrivare in alto, tra fumi e crateri, è come conquistare un altro pianeta.
