Le indossiamo e le gettiamo, ce le troviamo accartocciate in tasca come scontrini o evitiamo di calpestarle, sono parte della nostra nuova identità e dovremo conviverci ancora per molto, ma soprattutto, una volta utilizzate e buttate nel cestino sappiamo poco o nulla di che fine faranno.
Ogni giorno in tutto il mondo si utilizzano 6,8 miliardi di mascherine chirurgiche, ogni mese 129 miliardi. I dati sono stati diffusi in uno studio della Environmental Science & Technology, rivista scientifica della American Chemical Society, che individua nella mascherina usa e getta uno dei pericoli più insidiosi per il nostro ambiente, insieme ai guanti e alla plastica monouso.
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UN SECOLO DI MASCHERINE
Ma sappiamo davvero tutto di una mascherina chirurgica? Agli inizi del ‘900 le mascherine protettive in ambiente medico erano formate da qualche strato di garza di cotone… non il massimo per la traspirazione. Negli anni '50 venne così introdotta la fibra di vetro… non il massimo per il comfort e la salute della pelle. Infine, negli anni '90, ecco l’avvento di propilene, poliestere, nylon e cellulosa, un mix perfetto per creare mascherine, ma devastante per l’ambiente, perché polipropilene, poliestere e nylon sono fibre sintetiche, materie plastiche di sintesi... plastica insomma.
Immagine di repertorio durante l'influenza spagnola del 1918 / Foto Shutterstock
USA E GETTA, UN’EMERGENZA AMBIENTALE
Vero è che molti prodotti in plastica si riciclano con ottimi risultati e che in Europa dallo scorso luglio è entrata in vigore la Direttiva dell’Unione 2019/904 “SUP” (Single use plastic) che mira a ridurre il consumo di plastica monouso e a limitare la sua dispersione nell'ambiente e negli oceani. Abbiamo solo un piccolo problema… le mascherine non sono nell’elenco di prodotti in plastica compresi dalla direttiva e quindi banditi dal commercio.
L’emergenza sanitaria quindi, proprio in quanto emergenza, supera in scala prioritaria la crisi ambientale, che a sua volta ne ha favorito l’insorgere. Il cane si morde ancora una volta la coda. O, in altri termini, stiamo affrontando il terremoto, ma siamo esposti a un vero e proprio tsunami ambientale.
A dare una dimensione al problema è il recente studio del Dipartimento di Scienze dell'Ambiente e della Terra dell’Università di Milano-Bicocca dal titolo "The release process of microfibers: from surgical face masks into the marine environment". Lo studio ha approfondito il meccanismo di degradazione delle fibre di polipropilene presenti nei tre strati delle mascherine chirurgiche e ha dato i primi risultati quantitativi relativi alla cessione di microplastiche.
Gli scienziati hanno sottoposto le mascherine usa e getta ad esperimenti di invecchiamento artificiale, simulando cosa accade a una mascherina abbandonata nell’ambiente che inizia a degradarsi a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici e, in particolare, alla radiazione solare: una singola mascherina chirurgica esposta alla luce UV-A per 180 ore è in grado di rilasciare centinaia di migliaia di particelle microplastiche del diametro di poche decine di micron.
Se moltiplichiamo questo effetto per quasi 7 miliardi di mascherine chirurgiche utilizzate ogni giorno immaginiamo una montagna di plastica che ad oggi non stiamo riciclando. A meno che… a meno che ci sia qualcuno muova i primi passi per scovare una via alternativa. Pionieri che cercano soluzioni per il riciclo o il riuso in piccola scala, nella speranza che la politica o il mercato adottino la soluzione in scala ben più larga, se non globale.
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PLAXTIL, DALLA MASCHERINA NUOVI DPI CONTRO LA PANDEMIA
L’azienda francese Plaxtil, con sede a Châtellerault, nel dipartimento della Vienne, in Nuova Aquitania, trasforma le mascherine riciclando le fibre di plastica per crearne strumenti di protezione dal contagio come apriporta o visiere protettive. Le mascherine vengono raccolte e isolate per quattro giorni dall’azienda Audacie con cui la startup lavora; poi decontaminate con raggi ultravioletti, e infine decomposte e mescolate con della resina. La nuova plastica ottenuta viene quindi impiegata per realizzare Dpi contro il coronavirus: coprimaniglie, copriporta o visiere per esempio.
A MELBOURNE, UN NUOVO MATERIALE PER FARE LE STRADE
Anche alla Royal Melbourne Institute of Technology (RMIT), si sono dati da fare per trovare letteralmente una “via” possibile al riciclo delle mascherine chirurgiche. Lo studio australiano indaga il riutilizzo delle plastiche da riciclo nel settore dell’edilizia civile. In particolare i ricercatori hanno dimostrato che per realizzare un chilometro di una strada a doppia corsia si potrebbero utilizzare 3 milioni di mascherine riciclate, che equivarrebbe ad evitare che 93 tonnellate di rifiuti inutilizzabili vadano in discarica.  Miscelando il materiale riciclato dai Dpi alle macerie di edifici civili si otterrebbe un prodotto utilizzabile per realizzare i primi due strati di materiale su cui apporre l’ultima colata di asfalto.
Foto www.rmit.edu.au
IL DESIGN ARTISTICO A UIWANG, SOUTH KOREA
In Corea del Sud l’idea è venuta a uno studente ventitreenne della Kaywon University of Art and Design, a Uiwang. Kim Ha-Neul ha raccolto la bellezza di diecimila mascherine usate e ne ha ricevuta una tonnellata di difettose da una fabbrica locale. Dopo averle stoccate per almeno quattro giorni per scongiurare il rischio di trasmissibilità del virus, ne ha rimosso le bande elastiche, le ha fuse a 300 gradi in uno stampo creandone sgabelli a tre gambe da 45 cm, che sono diventati la sua tesi di laurea.
Le sedie di design di Kim Ha-Neul
LAVARE LA CHIRURGICA, POSSIAMO FARLO TUTTI
In attesa di sviluppi in tema di riciclo, possiamo tutti fare qualcosa nel nostro piccolo con la pratica virtuosa del riutilizzo. A smontare il mito della “chirurgica usa e getta” è uno studio di Altroconsumo. Analizzando un campione di mascherine (non rappresentativo) distribuite nelle scuole italiane ha dimostrato che è possibile riutilizzare i dispositivi, lavandoli in lavatrice, almeno 5 volte. L’associazione ha analizzato in primis la filtrazione e la traspirabilità delle mascherine distribuite nelle scuole: tutti i prodotti hanno ottenuto valutazioni eccellenti per quanto riguarda la filtrazione. In secondo luogo, è stato verificato se ci fosse un cambiamento di performance di questi prodotti dopo 5 lavaggi a 60° (lavaggio intenso per testare le mascherine in condizioni di stress) dimostrando che, non solo tutte le mascherine mantengono invariate le proprietà filtranti ma migliorano addirittura in termini di traspirabilità.
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INFORMAZIONI E APPROFONDIMENTI
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