Il mondo del turismo si ripensa nell’attesa di uscire dall’emergenza coronavirus e mentre le spiagge si interrogano su come garantire le opportune distanze, appare evidente che le destinazioni più gettonate per questa estate saranno i luoghi all’aria aperta che garantiscono naturalmente il rispetto di queste distanze: parchi naturali, boschi, montagne, e le attività ideali le camminate sui sentieri alpini, anche in mountain bike e bici elettrica.
Per questa ragione la riorganizzazione dei rifugi alpini assume un’importanza particolare. E proprio i rifugi alpini del Veneto stanno iniziando a organizzarsi. Si tratta di circa 160 strutture, per un numero di posti letto superiore a 3.600. Strutture turistico-ricettive e al tempo stesso di tutela e presidio della montagna, situate sopra i 1000 metri di altitudine. Probabilmente il modo ideale per scoprire, fra l’altro, le Dolomiti Bellunesi. Basti pensare al rifugio Falier, ai piedi della Marmolada, raggiungibile solo a piedi; o al rifugio Galassi, oltre quota 2000, punto di partenza per le escursioni alla vetta del monte Antelao.
L’assessore regionale al turismo Federico Caner ha di recente incontrato in videoconferenza i gestori dei rifugi e i rappresentanti delle imprese turistiche montane d’alta quota, per analizzare la situazione e individuare le azioni da attuare in vista dell’auspicata ripresa delle attività.
Durante l’incontro è stata ribadita la necessità che, per quanto riguarda l’intero sistema dell’ospitalità turistica, pur tenendo conto delle peculiarità delle diverse strutture ricettive e di specifiche esigenze territoriali, sia predisposto un unico protocollo sanitario nazionale, con regole e criteri che valgano per tutta l’Italia, in una logica di tutela dei clienti e degli operatori”.
L’obiettivo finale è però quello di aver un regolamento su misura – la regione lo definisce “sartoriale” – per i rifugi alpini, proprio per la loro assoluta unicità.