È come se fossero le note a piè di pagina della terraferma, le isole piccole e remote. Non meriterebbero un capitolo intero, forse neanche un paragrafo, di un ipotetico libro di storia universale delle isole. Cosa rappresentano per la storia universale in confronto alla Gran Bretagna, alla Sicilia, ma anche solo a Corfù? Negli atlanti convenzionali sono un puntino su una paginetta, curiosità per persone armate di lente d'ingrandimento. Pitcairn, Tristan da Cunha, l'isola di Ascensione, l'isola di Rudolf, la minuscola Tromelin: nomi sconosciuti alla maggioranza dei più incalliti appassionati di geografia, terre su cui ancor meno possono dire di aver messo piede. Eppure le isole remote (e piccole) sono un universo che stimola la fantasia e la voglia di raccontare, il posto ideale dove fermarsi per trovare pace e pensare a se stessi, ricostruirsi e inventarsi un nuovo modo di vivere. Da Utopia all'isola di venerdì, sono sempre stati mondi ideali dove ripensare l'ordine sociale. Ma allo stesso tempo sono luoghi che generano angoscia. Quel tipo di posti in cui quando ci arrivi non riesci a non pensare: ma come si può vivere qui? Come si riesce a far trascorrere il tempo in pochi chilometri quadrati, magari con una comunità che conta poche anime? Così finisce che non ci si riesca a chiarire le idee: queste isole sono un luogo ideale oppure una galera?
Qualche spunto per trovare una risposta a queste riflessioni viene dalla lettura di un libro insolito e interessante: The Atlas of Remote Islands di Judith Schalansky, pubblicato dalla Penguin. In parte si tratta di un atlante vero e proprio, in parte un libro di narrativa. Schalansky non è una cartografa e neanche una scrittrice di viaggio, anzi: non ha mai messo piedi sulle 50 isole che ha scelto di raccontare. E come ammette, nel sottotitolo, mai ce lo metterà. Perché le storie che racconta nelle piccole prose poetiche che accompagnano le cartine e i dati statistici che occupano la prima parte dei 50 capitoletti, sono quasi sempre storie tutt'altro che paradisiache. Parlano di naufragi e catastrofi ambientali, test di bombe atomiche e abusi, il contrario di quell'isola da sogno che uno si immagina. Eppure sfogliandolo e leggendo viene lo stesso voglia di vedere come mai saranno questi cinquanta scogli in mezzo al mare. Si inizia a fantasticare di isole selvagge e approdi remoti, capi villaggio bonari e militari arenati in mezzo al mare. Forse perché, volendo vedere, non esiste libro più poetico di un atlante: fornisce solo l'inizio di una storia, poi il resto lo mette ognuno, con la propria fantasia.