Il Touring Club Italiano sostiene Va' Sentiero, il progetto di sei ragazzi che da maggio 2019 hanno iniziato a percorrere tutto il Sentiero Italia. Alla pagina www.touringclub.it/vasentiero tutti gli articoli dedicati al cammino, con resoconti periodici e approfondimenti sulle varie tappe. Seguite anche voi Va' Sentiero, partecipate a una tappa e condividete i contenuti!

E venne il giorno in cui Va' Sentiero arrivò in Abruzzo. La regione dei parchi, la regione verde d'Italia, quella con la maggior percentuale d'aree protette, ma anche la regione della più alta cima appenninica (isole escluse): il magnifico Gran Sasso d'Italia, che con i suoi quasi tremila metri guarda dall'alto - un po' come un vecchio padre di pietra - le vette dalla Liguria alla Calabria. 

Ma l'Abruzzo è anche terra dove la roccia trema e i muri crollano, e dove speranze e futuro a volte rimangono parole lontane, indefinite. Dove i piccoli paesi incastonati tra vette e faggete rischiano di vedere solo gatti e cinghiali aggirarsi per le loro vie. E dove tenaci, resilienti abitanti accolgono sempre con un sorriso. Seguite i ragazzi di Va' Sentiero e il nostro racconto in questo cammino settembrino per le terre d'Abruzzo: troverete luoghi e storie che vi lasceranno a bocca aperta, scoprirete ancora una volta un pezzo di quella straordinaria montagna italiana che troppo spesso rimane lì, dietro le quinte. 

DI BRIGANTI, LAGHI E TERREMOTI

Prima tappa abruzzese quella che ha portato Va' Sentiero da San Martino di Acquasanta, nelle Marche, fino a Padula, frazione del comune di Cortino, in provincia di Teramo. "Una tappa difficile, all'inizio" ricorda Martina "il Sentiero Italia era davvero messo male, abbiamo provato a seguire la traccia gpx ma non c'è stato nulla da fare: tra rovi e pietraie, sembrava di stare in una giungla! Alla fine abbiamo dovuto prendere una deviazione e incamminarci su una strada asfaltata, allungando il percorso". Una volta ritrovato l'itinerario previsto, spazio al bosco: "una faggeta bellissima, secolare" continua Martina "dove ci si sentiva in una fiaba, con quelle radici gigantesche, le distese di felci, il silenzio rotto solo dal rumore di cascatelle e torrenti... molto suggestivo".

Pranzo al rifugio Il Ceppo, dove passa il confine Marche-Abruzzo. "E giustamente, appena entrati in Abruzzo, non vuoi provare subito gli arrosticini? Nel rifugio c'era una macelleria, ci siamo comprati gli arrosticini e li abbiamo cotti sulla caratteristica griglia a croce e bislunga...". "A separare Marche e Abruzzo è il fiume Castellano" aggiunge Francesco "che in passato divideva il Regno Pontificio da quello delle Due Sicilie: un fiume citato anche da Dante, che poi confluisce nel Tronto ad Ascoli Piceno". Una zona che è sempre stata selvaggia e densa di foreste: "erano famosi i briganti locali, in particolar modo Marco Sciarra, vissuto nella seconda metà del Cinquecento, che per anni insieme a un Piccolomini tenne in scacco gli eserciti da Ravenna a Napoli. Fu una specie di Robin Hood locale, carismatico e terrorizzante nello stesso tempo, inseguito dal Papa e dal Doge e infine tradito da un suo secondo, che in cambio dell'amnistia personale vendette la sua testa". 

A Padula attendeva i ragazzi Elena, la vicesindaca di Cortino nonché l'unica persona che abita il paese durante tutto il corso dell'anno - in estate è invece popolato da varie persone che qui possiedono seconde case. "Non so se l'aveva già programmato o ci ha visto stanchi e affamati, fatto sta che Elena si è presentata con due chili e mezzo di spaghetti al pomodoro! Abbiamo mangiato come se non ci fosse un domani" ride Martina. Una genziana come digestivo - tipico amaro abruzzese - e tutti a dormire.


Tappa San Martino > Padula. Foto Sara Furlanetto

"Tutti spumeggianti al mattino, per affrontare i 22 chilometri da Padula a Campotosto" racconta Sara "specialmente due ragazzi che avevano dormito in tenda e ci hanno seguito per tutta questa prima parte del viaggio: Matteo da Brescia, grande camminatore, e Matteino, 19 anni, che già l'anno scorso aveva fatto qualche tappa con noi ed è tornato anche nelle Marche". Una prima parte nella faggeta ha portato poi a un crinale, da cui i ragazzi si aspettavano di vedere per la prima volta il Gran Sasso e invece... "invece delusione! Ci siamo rimasti malissimo, eravamo totalmente immersi nella nebbia, camminavamo in un paesaggio selvaggio senza punti di riferimento... fino al Passo di Pane e Cacio, chiamato curiosamente così perché qui si riunivano i pastori".  


Tappa Padula > Campotosto, verso la Sella di Pane e Cacio. Foto Sara Furlanetto​
 

Ancora nebbia nella discesa verso Campotosto... "Io e Andrea abbiamo chiesto di fermarci, a un certo punto" ricorda Sara "sperando che le nuvole si diradassero: volevamo a tutti i costi fotografare il lago dall'alto!". La provvidenza questa volta è venuta in soccorso e il desiderio è stato esaudito: "cinque minuti dopo la vista si è aperta e il lago si è mostrato in tutto il suo splendore, tra crinali verdi stupendi che cadevano a capofitto nella campagna intorno al paese". Il lago, che è compreso interamente nel parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, è uno dei bacini artificiali più grandi d'Italia, superato solo da alcuni specchi d'acqua in Sardegna. "Fu costruito tra il 1939 e il 1941, ma riempito solo nel Dopoguerra" aggiunge Francesco "con la sua acqua sorgiva alimenta tutta l'agricoltura del Teramano". 

A Campotosto, borgo nella parte più settentrionale della provincia dell'Aquila, attendeva i ragazzi un paese duramente colpito dai recenti terremoti e soprattutto da quello del gennaio 2017, lo stesso che provocò lo spaventoso incidente di Rigopiano. "Si sente poco parlare di questo paese, quando si citano i centri colpiti dal terremoto, eppure gran parte delle case storiche è stata distrutta e i pochi abitanti rimasti abitano in alcuni container" spiega Sara. "Sapessi che tristezza vedere il tabacchi, la macelleria, la piccola bottega di alimentari ancora nelle sistemazioni provvisorie... l'unica struttura nuova è la sede degli Alpini, che ci ha accolto per la notte: è stata costruita in soli 40 giorni con il supporto degli alpini di tutta Italia, un record, ha ospitato anche famiglie di Amatrice nel post sisma". Ad accogliere i ragazzi anche il sindaco Luigi, che con un amico ha preparato una bella amatriciana poi gustata con tutto il gruppo. "Gli abbiamo fatto un'intervista" racconta Andrea "ed è stato commovente ascoltare i suoi racconti ricchi di sconforto ma anche di positività: nel suo ufficio all'interno di un container ci ha spiegato come l'amministrazione punti sul turismo per far affluire un po' di soldi in paese, per esempio provando a far fermare di più i camperisti che già frequentano la zona". 


Il Lago di Capotosto, il secondo lago artificiale più grande d'Italia. Foto Sara Furlanetto​


Scorcio del borgo di Campotosto, che ancora reca i segni del sisma del 2009. Foto Sara Furlanetto​

C'è stato anche il tempo di incontrare due artigiani locali, "due bei personaggi" a detta di Sara: Assunta, che lavora in una bottega di tessitura, e Ugo, che produce i famosi "coglioni di mulo", un particolare salume tipico del luogo. "La carne viene tritata finemente" racconta Francesco "e la cosa curiosa è che al suo interno viene inserito un blocchetto di lardo: serviva per ritardare la stagionatura, in modo tale che il salume si potesse produrre a Natale - quando veniva ucciso il maiale - e poi gustare a Pasqua". 

Assunta Perilli nella sua bottega tessile a Campotosto. Foto Sara Furlanetto


Ugo Paolini dell'azienda agricola Nonna Ina, Campotosto. Foto Sara Furlanetto​

IL PASTORE, IL CAMMELLO E GLI AQUILOTTI

Le storie di queste zone parlano tanto di boschi e di alberi. A Nerito, per esempio, meta della tappa successiva del Sentiero Italia e di Va' Sentiero, qualcuno ancora dice che il paese prenda il nome dalla pelle degli abitanti, che diventavano neri a causa del carbone prodotto con la legna... Meno leggenda e più storia, invece, quella del Fuoco di Natale che tradizionalmente si prepara la Vigilia nella piazza del paese e viene costantemente alimentato fino all'Epifania. "Un rito propiziatorio molto antico" spiega Francesco "simbolo di purificazione e rinascita: ogni anno vengono arse 10-20 tonnellate di legna e gli abitanti si trovano intorno alla pira per passare la notte". 

A Nerito, frazione del Comune di Crognaleto (provincia di Teramo), i ragazzi sono arrivati seguendo un sentiero tra i faggi, incappando anche in qualche cinghiale ("a duecento metri dal paese me ne sono passati davanti una ventina" ricorda Andrea "tra cui uno bello grosso che mi ha fatto impietrire per un attimo..."). E a far loro compagnia è stato un pastore maremmano, che ha pensato bene di accodarsi a Campotosto e seguirli fino al termine della tappa. "Si era fatto trovare alla struttura degli Alpini" racconta Andrea "e non ci ha più lasciati per tutto il giorno. Pare che ce ne siano vari, di cani locali che seguono i turisti che fanno trekking: sono tutti orfani del terremoto, vagano di paese in paese senza più un punto di riferimento. Uno è arrivato fino a Roma". I ragazzi si erano già convinti di aver trovato una mascotte da portare in Puglia, ma Tosto - come era stato subito battezzato il pastore - ha fatto capire di avere altri piani per il suo futuro.


Una delle tante faggete nelle tappe precedenti al Gran Sasso. Foto Sara Furlanetto


Scorcio di Nerito, borgo nel Parco del Gran Sasso. Foto Sara Furlanetto​

Anche Pietracamela, tappa successiva di Va' Sentiero, ha un nome curioso la cui origine ha dato vita a più di una speculazione. "Il sindaco ci ha detto che secondo lui il nome deriva semplicemente dalla pietra sovrastante il paese che ha due cime che sembrano le gobbe di un cammello" racconta Francesco. "Altrove si dice invece la parola "camela" potrebbe derivare da "cimmeria" e quindi essere legata al popolo dei Cimmeri, stanziatosi nel I millennio a.C. nel Meridione". Il dibattito è ancora aperto... "Una ragazza ci ha fatto da guida per il paese" spiega Giacomo "molto ben conservato: qui si produceva e lavorava la lana, poi da inizio Novecento in molti se ne sono andati verso la Toscana e l'Emilia Romagna". A Pietracamela i ragazzi hanno imparato anche varie altre storie peculiari: quella della scuola degli Aquilotti del Gran Sasso, fondata nel 1925 da Ernesto Sivitilli, che aprì molte vie alpinistiche sugli Appennini spingendosi anche fino in Himalaya; e quella di Guido Montauti, un artista locale che nel 1963 fondò con alcuni colleghi il gruppo “Il Pastore bianco” e realizzò monumentali dipinti rupestri nelle Grotte di Segaturo, sovrastanti il paese. 

Prima, però, c'era stata la tappa: un cammino prevalentemente nel bosco, poi tra torrenti e dolci salite, in un suggestivo paesaggio di colli e grandi pietre. "Abbiamo incontrato diversi cavalli e cavalieri, poi un gregge dove era appena nato un capretto... aveva ancora il cordone ombelicale attaccato al corpo" sorride Giacomo. "Dopo il pranzo presso un piccolo bivacco, verso tre quarti della tappa si è finalmente iniziato a intravedere tra le nuvole il Gran Sasso in tutta la sua maestosità: un vedo-non vedo che ci ha incuriosito ancora di più, visto che il giorno dopo ci eravamo proposti di affrontarlo". 


Sosta nel vallone del Rifugio del Monte a 1614 m, nella tappa da Nerito a Pietracamela. Foto Sara Furlanetto

Un torrente ha perfettamente levigato la roccia, in un bosco nella tappa da Nerito a Pietracamela. Foto Sara Furlanetto​

Pietracamela. Foto Sara Furlanetto

SUA MAESTÀ IL GRAN SASSO

Ed eccolo, il giorno atteso. "La tappa è partita con un orario inedito per Va' Sentiero: pensa, avevamo deciso di mettere la sveglia alle 3.50 e partire per le 4.30" racconta Yuri. "Peccato che il nostro Matteino, che non aveva chiuso occhio per l'eccitazione, alle 3 del mattino ha iniziato a far colazione e a far cadere tutto per terra... non ti dico l'odio con cui l'abbiamo guardato in quel momento!". Zaino in spalla, via per la salita tutti in fila, con le piccole lampade frontali a illuminare il sentiero. "Siamo partiti sotto una stellata incredibile, per la prima volta quest'anno ho visto Orione, che inizia a levarsi molto tardi... a salutarci nel buio pesto c'erano Betelgeuse, la cintura, le Pleiadi".

Poi la magia dell'alba, ammirata sulla cresta nordordientale del Gran Sasso. "Uno spettacolo che non ti sto a raccontare" continua Yuri "c'era anche un po' di foschia che aumentava l'evocatività della scena, si vedeva pure il mare, in fondo, che piano piano si arrossava". In quel punto i ragazzi si trovavano nel punto dove giunge la funivia del Gran Sasso; da qui il sentiero porta al rifugio Carlo Franchetti, incuneato tra il Corno Grande e il Corno Piccolo a  2.433 metri di quota. "Fu costruito verso la fine degli anni cinquanta dalla sezione romana del Cai e intitolato al barone Carlo Franchetti, alpinista e speleologo" spiega Yuri. "Qui, pensa, abbiamo incontrato Fabiano Ventura, il fotografo che sta documentando il ritiro dei ghiacciai in tutto il mondo, realizzando scatti mediante la tecnica della "repeat photography", ritraendo le vedute dall’esatto punto geografico e nello stesso periodo dell’anno di quelle del passato. Ci conoscevamo a vicenda ma non c'eravamo mai salutati: è stato un bel momento".


Alba sul Gran Sasso. Foto Sara Furlanetto


Alba sul Gran Sasso. Foto Sara Furlanetto

Un caffè al rifugio, ma non c'era tempo da perdere: la cima chiamava. "Con noi c'era anche Antonio, un fiorentino che dopo aver fatto una tappa laziale senza alcuna attrezzatura tecnica, si era rifatto il guardaroba e si era riproposto alla partenza" ride Yuri "peccato che non avesse nessuna esperienza e che i metri di dislivello per il Gran Sasso sono quasi 1900! Ci ha fatto morire tutti dal ridere per come si auto-incitava, chiamandosi per nome e dicendosi "forza toni, c'è un toni che ce la fa!". Per fortuna tutto è andato bene, Antonio non ha avuto problemi: la salita non è difficile ma c'è qualche passaggio tecnico non banale". 


Verso il Corno Grande. Foto Sara Furlanetto


Panorama dal Gran Sasso. Foto Sara Furlanetto

L'arrivo sulla cima del Corno Grande, a 2912 metri di quota, ha causato un attimo di euforia collettiva. "Non c'era molta gente, per fortuna, ci siamo goduti l'incredibile spettacolo del panorama a 360 gradi. Poi, non appena abbiamo iniziato a scendere, una scena incredibile: un serpentone di persone che stava salendo, centinaia di trekkers che venivano su, va bene che era un sabato ma giuro che non ho mai visto una scena simile neanche sulle Alpi" riflette Yuri. "La via peraltro è friabile, ci sono sono diversi passaggi in cui bisogna utilizzare le mani. Dopo un po' che scendevamo abbiamo visto arrivare l'elicottero: ci hanno detto poi che sono avvenuti due incidenti in due ore, per fortuna non gravi... Non oso immaginare che cosa sarebbe diventata la cima di lì a poco. Siamo stati fortunati a salire per tempo e goderci la vetta in condizioni perfette".

La meta finale della giornata era il rifugio Duca degli Abruzzi, a 2388 metri di quota. "E mentre Matteino si scatenava proseguendo per altre cime, portando alla stratosferica cifra di tremila metri il dislivello complessivo della giornata, noi abbiamo steso i materassini e i sacchi a pelo per una bella dormita sotto il sole". Poi il bellissimo e lungo finale di pomeriggio, con Campo Imperatore che cambiava lentamente colore e il tramonto che accendeva la parete occidentale del Corno Grande. "Il contrasto con l'ambiente circostante rende la cima unica: un dente di pietra tra vallate morbide" riflette Yuri. Cena al rifugio, notte nelle tende, sotto una pioggia di stelle cadenti. 


Rifugio Duca degli Abruzzi. Foto Sara Furlanetto


Buvacco fuori dal rifugio Duca degli Abruzzi. Foto Sara Furlanetto
 

Il video dedicato al Gran Sasso realizzato da Va' Sentiero - regia di Andrea Buonopane

"Questa piana tra altissimi monti fa un bellissimo vedere. Quando i pastori vi sono con gli animali a pascolare, par esser uno esercito grossissimo a vedere tante capanne e tante tende, massime la sera quando tutte hanno acceso i fuochi" (Francesco De Marchi, Il Corno Monte, 1573).

Chissà com'era, Campo Imperatore, quando nei secoli passati era abitato da milioni di pecore. L'altopiano più grande degli Appennini regala comunque scenari indimenticabili ancora oggi, così come hanno potuto constatare i ragazzi l'indomani. "Ci siamo addentrati nelle vallette laterali, ancor più spettacolari" continua Yuri. "Colline levigate, erbose, luccicanti, che un tempo erano ricoperte da foreste, poi disboscate già ai tempi dei romani per ricavare legna per le navi". Dopo aver osservato gli impianti malridotti di una triste stazione sciistica probabilmente mai entrata in funzione ("carcasse inguardabili, frutto della speculazione"), il gruppo è arrivato ai ruderi di Santa Maria del Monte, una grangia medievale. "I tanti compagni di viaggio locali ci spiegavano che qui un tempo pascolavano mandrie composte da migliaia di capi: tutta la zona è infatti perfetta per il bestiame, essendoci erba a profusione e anche stagni per abbeverarsi. Il paesaggio era bellissimo, uniforme, pulito, vuoto: su un fianco la propaggine orientale del Gran Sasso, poi il crinale che dal monte Aquila va verso il monte Camicia passando per il Brancastello, una cima dalla forma quasi alpina".

Francesco ci ricorda molte altre storie di Campo Imperatore, davvero uno dei luoghi più suggestivi e peculiari dell'Appennino. "Innanzitutto l'osservatorio astronomico, fondato già nel 1965; poi l'albergo dove fu imprigionato Mussolini tra il 28 agosto e il 12 settembre 1943, in seguito all'Armistizio di Cassibile; e ancora, per i fanatici di ciclismo, quella salita di Marco Pantani del 22 maggio 1999, quando il Pirata staccò tutti gli altri e vinse tra muri di neve una tappa passata alla storia...". 


Campo Imperatore. Foto Sara Furlanetto


Arrosticini a Campo Imperatore. Foto Sara Furlanetto

Fine di tappa a Santo Stefano di Sessanio, il paese ai piedi dell'altopiano duramente colpito dal terremoto, la cui torre è proprio in questi mesi in fase di ultima ristrutturazione. "Qui abbiamo assistito a un bellissimo concerto di flauto traverso e clarinetto organizzato da Passi Armonici, un'associazione che propone escursioni con concerti" continua Yuri. "È stato un momento molto suggestivo: arrivare stanchi nella piazzetta di Santo Stefano, sedersi sul selciato e ascoltare la musica dei fiati, che meraviglia". Sulla piazza c'è ancora l'effigie dei Medici, che avevano acquistato il paese nel 1579 (e lo amministrarono fino al 1743). Da qui e dalla vicina Castel del Monte partivano i tratturi che conducevano fino a Foggia: la transumanza portava tutte le mandrie dall'Abruzzo alla Puglia, in autunno, dopo la stagione dell'abbondanza, per poi fare ritorno in primavera". Santo Stefano è stato negli ultimi vent'anni protagonista di una riqualificazione importante, grazie anche all'impegno di Daniele Kilghren: l'imprenditore italo-svedese ha dato vita a Sextantio, un albergo diffuso che ha fatto poi da volano per tutta una serie di attività turistiche.

Cena finale di giornata con l'arrivederci a due persone che sarebbero tornate al nord l'indomani: Diego, il grafico di Va' Sentiero, e Matteino, che con una cerimonia a sorpresa ha ricevuto il titolo di "Vasentierino doc". "Per noi tutti vedere questo ragazzo così felice, dopo che l'anno scorso aveva provato a camminare con qualche difficoltà, è stata una gran bella ricompensa" ricorda Yuri. 


Santo Stefano di Sessanio. Foto Andrea Buonopane


Santo Stefano di Sessanio, concerto di Passi Armonici. Foto Sara Furlanetto

SAPORI FORTI E SCELTE CORAGGIOSE

Il giorno successivo Va' Sentiero ha esplorato i dintorni, aggiungendo altri tasselli al favoloso mosaico del Gran Sasso e dei suoi dintorni. "Siamo stati a Castel del Monte, poco lontano da Santo Stefano, dove la pro loco ci ha portati nel bellissimo centro storico" racconta Francesco. "Qui un museo diffuso racconta la storia degli abitanti del paese e in particolare l'epopea della transumanza, quando milioni di pecore e centinaia di persone si spostavano tra Abruzzo e Puglia lungo il Tratturo Regio". Un fenomeno sociale a 360 gradi: le donne, per esempio, rimanevano nel borgo mentre gli uomini passavano l'inverno in Puglia. 

Spazio anche alla gastronomia, con l'incontro innanzitutto con Giulio Petronio dell'azienda agricola Gran Sasso, una figura di riferimento per la valorizzazione dei prodotti locali. "La sua è una tradizione di famiglia" spiega Francesco "portata avanti nonostante il parere contrario dei genitori. All'inizio dell'attività ha fato esperimenti di incroci con razze francesi per produrre carne, poi è passato alla produzione dei latticini, in particolare del canestrato: un formaggio che veniva messo a stagionare in canestri di giunchi, di qui il nome". Giulio ha raccontato ai ragazzi che fino all'Ottocento le pecore erano allevate per la lana, non certo per il formaggio. E che il formaggio stesso non fosse molto considerato anche nel dopoguerra. "La svolta è arrivata con l'avvento del parco nazionale, negli anni Novanta: il primo presidente ha stimolato il riconoscimento dei prodotti locali, e poi è arrivato Slow Food, che ha portato riconoscimenti e notorietà". Spazio agli assaggi: un pecorino profumato, con moltissimi sapori - d'altronde, la bontà deriva dai fiori e dall'erba di Campo Imperatore. Prossimi passi: far diventare nuovamente produttiva la lana, che ora viene quasi buttata via...


Giulio Petronio porta avanti l'azienda agricola Gran Sasso con una passione enorme. Foto Sara Furlanetto


Zilfi, pastore originario della Macedonia del Nord presso l'azienda agricola

Fermata successiva a Navelli, appena a sud del Gran Sasso, dove il protagonista è lo zafferano. "Qui abbiamo incontrato Alfonso, un produttore locale: ci ha spiegato che la raccolta viene fatta a ottobre nelle prime ore della mattina, in modo da non perdere la polvere attaccata ai pistilli del Crocus. Una vera e propria tradizione, per gli abitanti di Navelli: Alfonso ci ha raccontato che prima di andare a scuola, quand'era piccolo, tutti i bambini erano reclutati nei campi per la raccolta". Oltre allo zafferano, l'azienda di Alfonso vende anche il cece di Navelli. "Gli abbiamo chiesto una ricetta classica del luogo: e Alfonso ci ha detto che non esiste, perché lo zafferano è stato sempre esportato e utilizzato come moneta di scambio. Qui non l'hanno mai consumato: era troppo prezioso!". Una ricchezza che ha portato benessere al paese - basta vedere i grandi palazzi del centro storico, purtroppo semiabbandonato. 

Alfonso Papaoli, produttore di zafferano a Navelli. Foto Sara Furlanetto
Navelli. Foto Sara Furlanetto

E poi, gran finale di giornata ancora a Campo Imperatore, in quello splendido luogo che si chiama Rocca Calascio e che costituisce una delle cartoline più famose d'Abruzzo. A dominare il piano, un castello medievale, di quelli che si vedono nei film e si leggono nelle fiabe, e la chiesa di Santa Maria della Pietà, eretta nel 1596 in posizione isolata, a dominare l'orizzonte. Il tramonto è stato tra i più belli mai visti sull'Appennino, a detta dei ragazzi. E a seguire, un intenso incontro con Susanna, che gestisce il Rifugio della Rocca, nel minuscolo paese sotto la rocca. "Ci ha raccontato di come lei e il marito abbiano avuto un vero colpo di fulmine per questo posto" raccontano i ragazzi "e abbiano fatto di tutto per trasferirsi, all'inizio degli anni Novanta, abbandonando lavoro e casa a Roma. Qui hanno cresciuto i loro figli, qui hanno aperto una locanda e poi creato un albergo diffuso. E non se ne andrebbero più via". 

Come avete letto, di storie l'Abruzzo ne racconta tante. Continuate a seguire il racconto di Va' Sentiero per scoprirne altre: il cammino prosegue verso la Majella, e poi verso il parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise... a presto!

Rocca Calascio. Foto Andrea Buonopane
Rocca Calascio. Foto Andrea Buonopane
Rocca Calascio. Foto Sara Furlanetto