Il 15 settembre ha aperto a Trieste il LETS, il Museo della letteratura di Trieste. Dove quel "di Trieste" vuol dire della letteratura pensata e scritta nella città giuliana o che, al massimo, parla della città.
L'abbiamo visitato in anteprima, per capire come e perché Trieste sia una città così tanto letteraria da meritare un museo.

(da Touring Magazine, giugno 2024)

La statua di James Joyce sul "canal grande" triestino. Foto di Agnese Divo.

Trieste si rintraccia più facilmente nelle pagine dei libri che nelle pieghe delle carte geografiche. Ma quando se ne parla non si può fare a meno di consultare un atlante storico. «Etnicamente ambivalente, storicamente confusa, prospera sola a fasi alterne, appartata nell’angolo superiore del mare Adriatico, carente delle consuete caratteristiche dell’Italia», la descriveva così Jan Morris, gallese, uno dei tanti autori che a Trieste hanno dedicato un intero libro.

Perché lo strano fascino di questa città, il fascino “della grandezza perduta e della potenza scomparsa”, del porto che diviene punto di incontro di culture diverse che però sono tutto tranne che un crogiolo, seduce, invita a scriverne e ambientare libri. «I volumi su Trieste occupano tutto quello scaffale», fa segno Tommaso Contessi, libraio della Minerva, una delle oltre 20 librerie cittadine, tra indipendenti, di catena e rigatterie, ovvero dell’usato. Lo scaffale sono cinque ripiani, qualche decina di metri lineari, un migliaio di volumi che raccontano «le infinite storie di questa città lontana, spesso incompresa, pochissimo conosciuta nel profondo», spiega la scrittrice Federica Manzon. «Una delle nostre tre vetrine è sempre dedicata alla città: un po’ perché c’è tanta produzione, un po’ perché ai turisti interessa, un po’ perché ai triestini piace sentir parlare di sé», dice Contessi. Un dato è incontrovertibile: su Trieste si scrive tanto, vero, ma a Trieste si legge anche tantissimo. 

Riccardo Cepach, curatore del Lets. Foto di Agnese Divo.

UNA DELLE CAPITALI DELLA LETTERATURA MONDIALE

Questo universo multiforme ora ha una casa, si chiama Lets: il Museo della Letteratura di Trieste, allestito nei depositi della biblioteca civica di Palazzo Biserini, quella che frequentava Italo Svevo, ricordato dalla statua in piazza Hortis che si intravede dalle finestre del museo. «Non esiste un’altra città al mondo di 200mila abitanti che ha prodotto così tante espressioni letterarie e per di più in tre, quattro lingue» spiega il curatore, Riccardo Cepach. «Noi abbiamo provato a raccontarle andando oltre la triade Svevo, Joyce, Saba, che già avevano un museo personale piuttosto frequentato. Accogliendo tutte le parole e tutte le voci, tutte le anime culturali e linguistiche, gli autori vivi e quelli morti, della gente che qui ha vissuto o che è solo passata, come Rainer Maria Rilke, Jan Morris, Stendhal o il Nobel bosniaco Ivo Andrić».

Così in uno spazio aperto, dove ognuno può prendere i libri, sedersi e mettersi a leggere – «perché siamo in una biblioteca» – sono stati raccolti 70 autori che rappresentano la letteratura triestina. «Settanta da 30 iniziali che pensavo», prosegue. Guardando le teche dove sono raccontate le traiettorie di ognuno di loro viene normale chiedersi perché tutto questo fermento qui e non altrove. «Trieste è una della capitali della letteratura mondiale perché ha generato letteratura in tutte le lingue delle comunità e delle persone transitate» spiega lo scrittore tedesco Veit Heinichen. Lui è tra gli stranieri che a Trieste si sono fermati. «La prima volta la ricordo precisamente: 2 gennaio 1980. Sono tornato e ritornato, prima pendolare da Berlino dove facevo l’editore e da 27 anni vivo qui. Fisso». E con i suoi gialli esplora i nodi oscuri della città di confine.

La storica rigatteria Achille al Ghetto. Nicola Misan rappresenta la terza generazioni di librai. Foto di Agnese Divo.
La storica rigatteria Achille al Ghetto. Nicola Misan rappresenta la terza generazioni di librai. Foto di Agnese Divo.

Questioni di linguA

La domanda da farsi allora non è geografica, ma più profonda: perché nasce la letteratura? «Qui c’è letteratura perché c’è una grande complessità identitaria: dal 1719, anno in cui è diventata porto libero dell’Impero asburgico, Trieste ha cambiato essenza, è diventata una città di avventurieri dove c’era libertà di culto. E da allora è andata in cerca di una sua identità, che per motivi storici ogni giorno si è dovuta riscrivere» spiega Pietro Spirito, per giornalista alle pagine della Cultura al Piccolo, il quotidiano cittadino. «La letteratura nasce dove c’è da raccontare, dove ci sono contrasti, fermento, incontro. Qui ci sono tanti confini, non solo politici. C’è mare e montagna, che contribuiscono in modo diverso alla formazione dell’anima. Ci sono lingue diverse, siamo al limite tra mondo del burro e dell’olio, ci sono apporti culinari di culture differenti, senza dimenticare che per oltre mezzo secolo ideologie diverse si fronteggiavano a pochi metri. Se questo non è materiale per scrivere non so che cosa possa esserlo», sottolinea Heinichen.

«Altrove c’è un tessuto identitario forte, a Trieste è difficile parlare di minoranza perché tutto lo è, le differenze rimangono tali, i conflitti non sono pacificati, ma questo è un elemento per chi è interessato a scrivere storie», spiega Federica Manzon. Culture vicine, che interagiscono ma non si fondono. «A Trieste nessuna fusione si è mai vista» certificava Bobi Bazlen, fondatore della casa editrice Adelphi. Così tutto è sempre stato triplice: italiano, sloveno, tedesco. «La questione della lingua, che oggi sembra inesistente, fino al 1918 è stata fondamentale. Svevo si chiedeva, in che lingua scrivo? Ha scelto un italiano bastardo, figlio della nostra complessità», spiega Spirito. «Qui c’è sempre stato miscuglio e dove c’è miscuglio c’è gente che pensa in modo più ampio, elastico, aperto alla modernità e alla differenza», assicura Dušan Jelinčič. Triestino di lingua slovena, per anni giornalista Rai, ha scritto decine di storie su Trieste: «Oggi amplierei lo spettro: qui ora vivono 30mila serbi, tanti rumeni, nuove storie, non solo asburgiche, che meritano di essere raccontate». In che lingua, si vedrà.

I librai della libreria Minerva. Foto di Agnese Divo.
I librai della libreria Minerva. Foto di Agnese Divo.

«Un tempo tutti capivano la lingua dell’altro, oggi non succede», spiega Jana Kalc, della TS360 libreria slovena attiva da 60 anni, che da nove si è trasferita in piazza Oberdan «così abbiamo più visibilità». Da loro il 95% dei volumi sono in sloveno. «Se gli sloveni l’italiano lo capiscono, il contrario non è sempre vero, ma assistiamo a una crescita di interesse per lo studio della nostra lingua: in questi anni sempre più genitori mandano i figli alle scuole slovene, crescono le coppie miste e c’è una consapevolezza della ricchezza del plurilinguismo».

Ricchezza testimoniata dal Teatro stabile sloveno, una costruzione brutalista che da fuori assomiglia a un garage e dentro è un piacevole salto indietro nel tempo. «Questa è sempre stata una città con più anime nazionali, ma oggi, nei fatti, dialogano?», si chiede la responsabile organizzativa, Valentina Repini. Loro ci provano. «In questo teatro, l’unico a produrre lavori originali in un’altra lingua, da anni sovratitoliamo gli spettacoli in italiano, perché crediamo che la cultura debba essere accessibile, che questo teatro sia una risorsa di tutti, non l’enclave di una comunità» spiega. «La storia di Trieste racconta che nel momento in cui è stata capace di aprirsi, di essere davvero cosmopolita, ha avuto una rilevanza nella storia d’Europa. Se perde questa peculiarità tradisce la sua geografia e la sua stessa ragion d’essere», prosegue.

Pietro Spirito, scrittore e giornalista. Foto di Agnese Divo.
Pietro Spirito, scrittore e giornalista. Foto di Agnese Divo.

IL CENTRO DELLA PERIFERIA

Vista da Milano Trieste allora sembra ancora essere il centro della periferia d’Europa. «La città è sempre stata marginale ai mondi cui apparteneva e voleva appartenere, ma per chi scrive il bordo è più interessante del centro», sostiene Manzon. «Quando racconti una storia triestina non è mai una storia locale, è sempre una storia che racconta l’Europa. Questo è importante: la letteratura deve sempre avere un anelito universale, è lo specchio di una società, di un’epoca e un’area geografica», prosegue Heinichen.

Esiste allora un canone letterario triestino? «Esiste, esiste», assicura Jelinčič. In un dialogo con Claudio Magris sul Corriere della Sera il critico letterario Elvio Guagnini spiegava che esistono due stagioni in cui la cultura triestina è emersa con originalità. «La stagione aurea tra fine Ottocento e inizio Novecento, quella di Svevo, Saba, Gianni Stuparich, Scipio Slataper in cui la città aveva uno scenario di spicco in Europa. E poi dopo gli anni Sessanta, con Fulvio Tomizza, Claudio Magris, Boris Pahor e tanti altri». Autori le cui vite sono raccontate nelle stanze del Lets, anche se capire il perché di questa concentrazione resta un po’ mistero. «Fino al fascismo non c’era neanche un’università, e istituzioni letterarie degne di nota, eppure c’era tanta gente che aveva dentro quell’inquietudine che ha dato vita alla grande letteratura modernista che con Svevo e Joyce ha preso avvio», spiega Cepach. «Trieste non è Venezia con il suo passato decadente in cui rispecchiarsi, Trieste è sempre stata una città senza passato, obbligata a guardare avanti e innovare» concorda Heinichen. 

Loriana Ursicich, libraia della libreria all'interno del caffè San Marco. Foto di Agnese Divo.
Loriana Ursicich, libraia della libreria all'interno del caffè San Marco. Foto di Agnese Divo.

Oggi la situazione è cambiata, i turisti vengono soprattutto in cerca del mito della Trieste asburgica. Ma una città che vuole essere viva non può vivere di rendita del passato. Neanche in letteratura. «Continua a esserci un numero di scrittori proporzionalmente alto rispetto al numero di abitanti» conferma Spirito. Accanto a loro ci sono nuovi autori stranieri che scelgono Trieste come scenario delle proprie opere. L’austriaco Christian Klinger ha da poco preso casa in città. «Quando sono arrivato la prima volta ero deluso: una Vienna sul mare. Ero abituato a un’altra Italia». A Trieste ha ambientato un romanzo che racconta la storia di Pino Robusti, studente fucilato alla Risiera di San Sabba, e una serie di gialli non tradotti che si svolgono a inizio Novecento. «La città è diventata la mia musa, trovo ispirazione nelle sue storie, sensazioni che generano idee che diventano parole. Anche se è uno stereotipo, lo so, mi siedo al caffè San Marco e inizio a scrivere».

Lo scrittore austriaco Christian Klinger che da qualche anno ha preso casa in città. Foto di Agnese Divo.
Lo scrittore austriaco Christian Klinger che da qualche anno ha preso casa in città. Foto di Agnese Divo.

FERMENTO CULTURALE

«Questa è una città che continua a produrre carta, in una quantità che è difficile starci dietro», spiega Cepach. Dunque il fermento culturale di un secolo fa esiste ancora? «La risposta insita nel dna di noi triestini sarebbe: “no, è tutto morto”. Ma la realtà non è così, in questi anni la cultura fiorisce. Per non parlare della scienza, che è una storia a parte» prosegue.

«C’è una vivacità culturale inaspettata, che in parte si autosostiene. Tutto quello che si scrive sulla città interessa le persone che poi sono le stesse che comprano certi libri e che vanno alle presentazioni. C’è un elemento nostalgico – di quando eravamo una città libera e fiorente – che si lega a un localismo esasperato, per cui si pubblicano tantissimi saggi storici», racconta Zeno Saracino, storico e giornalista culturale, lui stesso autore di un volume sulla Trieste asburgica. «Qui ci si guarda molto indietro, ma non è solo nostalgia: è che ci sono capitoli non ancora chiusi, questioni importanti per definire l’identità cittadina», aggiunge Spirito. «Ma c’è un indubbio fervore legato all’associazionismo culturale, tradizione asburgica ancora viva. E, specie negli ultimi dieci anni, anche un proliferare di eventi che ormai diamo per scontati, ma non si trovano in altre città italiane di pari dimensione», spiega Saracino a un tavolo del caffè San Marco. 

Veduta di Trieste. Foto di Agnese Divo.
Veduta di Trieste. Foto di Agnese Divo.

Già, i caffè. Un tempo la vita culturale cittadina passava da qui. E oggi? «Questo era l’ufficio di Claudio Magris – racconta Loriana Ursich, che dal 2013 gestisce la libreria all’interno del caffè San Marco –. Oggi è un posto vivo, dove vengono tanti turisti, ma dove tra divanetti e tavolini trovi tutto il giorno persone di una certa età con il giornale e giovani che studiano». Un posto che Lorena anima organizzando presentazioni quasi giornaliere. «L’attenzione ai libri qui arriva da lontano: c’è una abitudine alla lettura che ancora dà frutti, se c’è chi scrive i libri, c’è anche chi li legge», racconta.

Che qui si sia sempre letto molto, lo testimonia il gran numero di rigatterie strapiene di libri usati. Martina Trevisan, 36 anni, sei anni fa ha aperto una rigatteria, Zuckermann. «A Trieste c’è tanto da acquistare. Dobbiamo ringraziare gli Asburgo che hanno lasciato in eredità un alto tasso di alfabetizzazione: in ogni casa si trovano tesori e spesso sono libri che parlano della città, ma anche del nostro retroterra: Istria, Dalmazia, Balcani». La libreria Achille, al Ghetto, sta lì da 90 anni. Stretta e lunga è stipata di volumi con un ordine invidiabile per essere una rigatteria. «Abbiamo una sezione giuliana, una istriana e via dicendo. Dal 1965 al 2010 c’è stato un proliferare pazzesco di libri locali su storie locali lette da persone che le avevano vissute. Ma quelli li cercano sempre meno», racconta Nicola Misan. Trieste è un ripostiglio del tempo, e nei ripostigli si trovano sempre un sacco di cose interessanti.

Martina Trevisan della rigatteria Zuckerman, dedicata ai libri usati. Foto di Agnese Divo.
Martina Trevisan della rigatteria Zuckerman, dedicata ai libri usati. Foto di Agnese Divo.