San Martino di Castrozza e Fiera di Primiero. Il Cimon della Pala e la Vezzana, il Sass Maor e il Velo della Madonna, la funivia della Rosetta e l'altopiano delle Pale. Il Passo Rolle, in alto, e la Val Canali, in basso. Luoghi tra i più popolari delle Dolomiti, che attirano gli amanti della montagna, a migliaia. Ma se nel Primiero, quest'angolo del Trentino benedetto da Dio, ci fosse anche qualcos'altro? Una zona meno frequentata, ma che vale la pena di conoscere?
Quel posto esiste: è il territorio di due piccoli paesi, Sagron e Mis, ormai indissolubilmente legati, nella toponomastica amministrativa e turistica. Sagron Mis è un Comune di 175 abitanti poco oltre i mille metri di altitudine, il più orientale del Trentino. E anche il solo le cui acque vanno a finire nel Piave, essendo al di là della linea di displuvio costituita da quel passo Cereda, a soli 8 km da Fiera di Primiero, sopra cui si sarebbero accampati gli Unni di Attila prima di scendere nel Primiero. Dominata a nord dal gruppo delle Pale di San Martino e a sud da quello del Cimònega - Dolomiti Bellunesi, quella di Sagron Mis è dunque una sorprendente plaga alpina immersa tra due aree protette Unesco e tuttavia un po' eccentrica rispetto ai percorsi dolomitici più frequentati. Un “rifugio” ideale, insomma, per chi alla montagna chiede tranquillità, ritmi lenti, atmosfere d'altri tempi, recupero di tradizioni artigianali, colloqui con gli uomini e con la natura.
Intendiamoci: anche qui si fa sport (trekking, alpinismo, arrampicata, mountain bike), ma senza ansie da prestazione. E infatti mancano gli impianti di risalita che altrove calamitano grandi flussi, estivi e invernali. Meglio puntare sul rispetto della natura e del paesaggio, come sta facendo l’amministrazione comunale nel suo sforzo di valorizzare il territorio senza stravolgerlo, puntando a uno sviluppo socio economico sostenibile e a un turismo responsabile. Che trova espressione, ogni estate, anche nel piccolo festival “Il personaggio dell’anno - Riconoscere per essere ri-conosciuti”, al cui centro ci sono le tematiche legate al futuro delle comunità montane. Promosso dall'amministrazione comunale in collaborazione con l’Apt di San Martino di Castrozza e Primiero, è presentato dal noto alpinista e storico della montagna Alessandro Gogna
Ecco dunque alcune ragioni per visitare Sagron Mis e i suoi dintorni.

I prati sopra Sagron Mis - foto di Roberto Copello


Un alpeggio sopra Sagron Mis - foto di Roberto Copello
 

DUE PAESI, TANTE FRAZIONI
Sagron Mis è costituito da un discreto numero di abitati sparsi, piccoli agglomerati sorti su entrambi versanti dell'alta valle del Mis forse per opera di carbonai. Il più rilevante, sede municipale, è Sagron, le cui case esibiscono ingenui affreschi e meridiane con scritte sentenziose (“Errare può sulla campana il ferro / Ma quando luce il sol io mai non erro”). Un surreale pannello mette a confronto Sagron-Mis niente meno che con Milano: su un lato le montagne, sull'altro il Duomo. E in mezzo, sopra gli stemmi dei due comuni, è appeso un ramoscello che la pressione atmosferica sposta tra pioggia e bello, passando per variabile. Non fosse chiaro lo scopo di questo primitivo “barometro naturale”, la scritta in dialetto toglie ogni dubbio: “el ram de pez el segna dret el temp ch'el fa el moi el sec”. 
Proprio a Sagron si trova la principale delle tre chiese esistenti in zona, tutte dedicate a Maria: a Sagron, a Marcoi e a Mis. La parrocchiale di Sagron, dedicata alla Madonna di Loreto, fu riedificata due volte nel Settecento, dopo che incendi avevano devastato un edificio preesistente: l'attuale tempio fu eretto fra il 1795 e il 1807, mentre il campanile è stato aggiunto nel 1954. Più antica sarebbe la cappella che sorge nella frazione Marcoi, forse nucleo abitativo fondante della comunità di Sagron: lo mostrerebbero gli ingenui affreschi secenteschi di una filatrice e di un cacciatore tracciati quattro secoli fa sul muro esterno di una casa adiacente (sul posto ora vi sono delle copie). Consacrata nel 1630, in anni di gravi pestilenze, la cappella fu dedicata alla Madonna di Loreto, ma con la risistemazione del 1812 fu assegnata alla Madonna di Caravaggio. Oggi esibisce una cinquecentesca pala d'altare restaurata nel 2021 e un'immagine settecentesca della Vergine lauretana. Terza e ultima la semplice chiesa di Mis: costruita nel 1901 e dedicata alla Madonna delle Grazie, ha una facciata a due spioventi, ornata da archetti pensili di gusto neogotico, un portale lapideo ad arco a sesto acuto e un alto campanile a cuspide. 


L'interno della chiesetta secentesca della Madonna di Caravaggio, nella frazione Marcoi, Sagron Mis - foto di Roberto Copello
 

SEDIE E LINGUAGGIO SEGRETO
Stalle e fienili, seggiole e miniere. Sono state a lungo le attività principali cui erano dediti gli abitanti del luogo. Stalle e fienili ancora caratterizzano il paesaggio. Del resto un censimento del 1892, quando gli abitanti erano il triplo degli attuali, contava sul territorio comunale 332 bovini, 47 pecore, 96 capre, 9 maiali e due “porchetti”. Vita dura, comunque, tanto da indurre i famosi seggiolai locali, i “careghéte”, a emigrare, a portare in giro per l'Europa la loro sapienza artigianale. A gruppetti, i careghéte si spingevano a nord fino in Belgio, a sud fino in Abruzzo. I segreti del mestiere li tutelavano con un furbesco linguaggio, lo “scabelament del contha” o “skapelament del kónža” (gergo del seggiolaio), che deformando le parole dialettali otteneva di non farsi capire dai clienti.
L'abilità nel trattare il legno portava a realizzare anche tanti oggetti d'uso comune, semplici giocattoli e grandi slóiže, slitte con i pattini in faggio, essenziali per trasportare legna e fieno. E poi ancora sci, panche, letti, armadi, carriole, botti, cesti, rastrelli. Ma fu la cariéga a sfamare le generazioni tra la fine dell'800 e la metà del XX secolo, finché l'epopea degli artigiani ambulanti fu cancellata dall'industrializzazione. E tuttavia a Sagron ancora c'è qualcuno che si ostina a tenere in vita l'arte dell'intaglio e dell'impagliatura delle sedie, realizzate completamente a mano, utilizzando sedici pezzi di legno. Neppure il linguaggio segreto si è estinto del tutto. Molte delle 850 parole elencate in un dizionario compilato dallo studioso Giocondo Dalle Feste sopravvivono nelle conversazioni fra la gente del luogo, o nelle canzoni dei Full Bromba, band locale di rock demenziale (“bromba” nel gergo segreto sta per “vino annacquato”).

Sagron Mis, l'arte di un seggiolaio - foto Roberto de Pellegrin
 
LA VIA DELL'ORO E DEL MERCURIO
Famose (le conosceva la Repubblica di Venezia già nel '700) erano le miniere locali di cinabro, da cui si ricavava il mercurio. Solo il piccolo torrente Pezzea, un tempo confine fra Italia e Impero austroungarico, divideva pozzi veneti e trentini. Sul territorio di Sagron Mis la galleria più lunga, detta Terrabugio, si estendeva per 700 metri. Su quello della veneta Gosaldo, le due gallerie di Vallalta fra il 1860 e il 1879 formavano il sesto centro minerario d'Europa per il mercurio. A fasi alterne, lo sfruttamento riprese nel 1902, nel 1921 e fra il 1958 e il 1962, quando la morte di tre dipendenti portò alla chiusura definitiva, prima ancora dunque che la tragica alluvione del 4 novembre 1966 spazzasse via il borghetto minerario profeticamente chiamato California decenni prima di vedere la “corsa all'oro”.
Sì, perché nel 1948 in frazione Vori fu individuato un filone che pareva promettere di ricavare ben 17 grammi d'oro per tonnellata di materiale. La stampa celebrava un “Eldorado vicino a Trento”, scriveva del “filone d'oro più ricco d'Italia”, illudeva che qui ci fosse “lavoro per 300 anni”. Ma il sogno finì subito: di oro ce n'era pochissimo. Oggi le gallerie restano un'attrazione turistica. Dal parcheggio della chiesa di Sagron basta seguire le indicazioni per la “Via dell’oro e del mercurio”. Passate le frazioni Pante, Casere e Marcòi, si arriva a Vori dove inizia il sentiero che porta all'ingresso della miniera d'oro. Tornati a Vori, si segue una strada fino a una casa in località Scudelina: da qui un sentiero scende alla miniera di mercurio. Gallerie, però, da vedere da fuori, senza potervi entrare. Chissà se un giorno saranno messe in sicurezza e rese visitabili.
PARADISO GEOLOGICO ED ESCURSIONISTICO
Le miniere qui non ci sono per caso. I geologi spiegano che si trovano sulla Linea della Valsugana, la più importante faglia delle Dolomiti, una cicatrice che sutura ere e paesaggi geologici lontanissimi. A nord dell'alta valle del Mis boschi, prati, sorgenti, villaggi; a sud valli incise e strapiombi inabitabili. Chi sale a Forcella Franche, sulla strada fra Gosaldo e Rivamonte Agordino, assiste a un vero salto nel tempo: rocce del basamento metamorfico (400 milioni di anni fa) incontrano dolomia principale vecchia 220 milioni di anni. Ma anche solo restando a Sagron, basta percorrere il Sentiero degli Intrecci del Tempo per sfogliare le sovrapposte pagine di pietra del libro dolomitico e ripercorrere in pochi minuti di cammino 80 milioni di anni, quelli che dividono formazioni rocciose antiche 290 milioni di anni da altre di 210 milioni di anni fa.

Lungo il Sentiero degli Intrecci del Tempo, Sagron Mis - foto di Roberto Copello
 
Il Sentiero (segnavia IDT) è un facile percorso ad anello di 7 chilometri, su vecchi sentieri e strade forestali, percorribile (anche d'inverno con sci o racchette da neve) in circa 4 ore, con 340 metri di dislivello. Inoltrandosi tra faggi e abeti, si scopre quanto la vita delle comunità locali sia stata legata all’ecosistema montano, dalla fienagione all’alpeggio, dallo sfruttamento del legname alla produzione del carbone di legna. Sedici totem informativi guidano nell'interpretazione dei luoghi attraversati. Ci si imbatte anche in una grande calchèra usata fino a qualche decennio fa per riscaldare le dure rocce calcaree fino a 800-1000 gradi e ricavarne malleabile calce (nel territorio di Sagron Mis sono censite una ventina di calchère).
Un buon punto di inizio del Sentiero è l'anfiteatro naturale di Giasenèi, ma si può partire anche da diverse delle frazioni di Sagron, come Pante, Casere, Marcoi. Lungo l'anello si raggiungono la solitaria Baita forestale (rifugio di proprietà comunale che, immerso nel bosco ai piedi delle vette del gruppo del Cimonega, ricorda un po' una casetta delle fiabe) e la selvaggia Val de le Moneghe, che le leggende vorrebbero popolata di inquieti spiriti: la percorre un torrente che si può risalire fino a un salto roccioso, sotto due attraenti cascate le cui acque d'estate offrono refrigerio, mentre d'inverno, ghiacciando, diventano terreno di gioco per gli alpinisti.

La baita/rifugio forestale Val de le Moneghe, 1265 metri di quota, lungo il Sentiero degli Intrecci del Tempo - foto di Roberto Copello
TREKKING, ARRAMPICATA, MTB...
Il trekking Park2Trek ripercorre la parte più selvaggia dell’Alta Via delle Dolomiti n. 2 e permette di scoprire due catene montuose, due regioni, due parchi. Da Feltre a Passo Valles, il trekking si snoda tra il Parco delle Dolomiti Bellunesi e il Parco Paneveggio Pale di San Martino, ambienti diversi per conformazione e natura, entrambi patrimonio dell’Umanità. Il Park2Trek coinvolge il territorio di Sagron Mis nella sua terza tappa, quella che dal rifugio Boz porta al Passo Cereda, con la possibilità di trascorrere la notte presso b&b e agriturismi o nello Chalet Giasenèi, struttura ricettiva ecosostenibile che s'affaccia sull'anfiteatro naturale di Giasenèi, con un idilliaco biolago alle sue spalle.
A pochi passi dallo Chalet c'è la Torre T3, struttura in legno di larice che s'innalza 30 metri con il suo muro di arrampicata sportiva ed è utilizzata anche come punto di osservazione diurna e notturna (anche dai portatori di disabilità, grazie a un ascensore interno). Per i patiti della mountain bike c'è invece l'Anello di Sagron Mis (Tour 2265), una ventina di km di media difficoltà che collegano le frazioni del paese, snodandosi tra i973 e i 1472 di altitudine.

Le due cascate alla testata della Val de le Moneghe, Sagron Mis - foto di Roberto Copello

...E SFIDE ALPINISTICHE

I cultori dell'alpinismo da queste parti trovano pane per i loro denti, su pareti selvagge che restituiscono il senso di un'avventura d'altri tempi, non fosse che per la solitudine e la scarsa chiodatura delle vie. Montagna emblematica è il verticale Piz de Sagron (2486 m), con la sua paretona di 900 metri in chiara dolomia, quella che i geologi chiamano Formazione dello Sciliar, creata durante il Triassico medio (235-225 milioni di anni fa) dall'accumulo di miliardi di spugne, alghe, coralli, molluschi. Il Piz de Sagron fa anche da teatro a una delle tante leggende locali che i pastori raccontavano ai figli perché non perdessero d'occhio il bestiame. In una grotta nella parete viveva il Mazaruol, un ometto dalla barba rossa e vestito tutto di rosso, che scendeva nei boschi per rubare le caprette e catturare i pastorelli disattenti, che poi rinchiudeva nella sua grotta. Altra leggenda è quella della bonaria Vécia che fila, ispirata dal forma umana di una macchia scura, alta e inaccessibile su una parete della Val de le Mòneghe. 
Sfiora invece la leggenda un personaggio reale, che fu protagonista della conquista alpinistica dello stesso Piz de Sagron. La vetta fu salita per la prima volta il 16 agosto 1877 dagli agordini Cesare Tomè e Tommaso Da Col. A guidarli era un cacciatore locale, dal grosso naso e dai compoetamenti assai rozzi: Mariano Bernardin detto el Gabiàn (1826-1899), nato a Sagron e noto fino ad allora soprattutto per le sue imprese di contrabbandiere e bracconiere. Intuito che il mestiere di guida poteva essere redditizio, fu sempre il Gabiàn che il 23 agosto 1881 accompagnò sulla Cima Nord Est del Sass de Mura (2547 m) il viennese Demeter Diamantidi e Luigi Cesaletti detto Coloto, scalatore che fu il primo a superare difficoltà di terzo grado sulla Torre dei Sabbioni nelle Marmarole (si tratta di figure pionieristiche e quasi dimenticate, riportate in luce dalle ricerche dell'alpinista e storico della montagna Alessandro Gogna). Il Gabiàn non smise mai di battere le sue montagne, neppure con l'avanzare degli anni, sino a lasciarvi la vita, nel 1898, a 72 anni, quando sulle tracce di un camoscio scivolò sul ghiaccio e precipitò.


Le cime delle Dolomiti Bellunesi - foto Alessandro Gogna​

INFORMAZIONI

Da sapere
- Comune di Sagron Mis, www.comune.sagronmis.tn.it
- Apt di San Martino di Castrozza e Primiero, www.sanmartino.com
- Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino, www.parcopan.org. Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, www.dolomitipark.it.
Dormire e mangiare
- Bed&breakfast ricavato in una casa in legno di un secolo fa, Dolomia si caratterizza per la posizione panoramica, in bilico su un crinale isolato, e per la calorosa accoglienza dei titolari Gemma e Maurizio Lazzaro (via Caravaggio 43, Sagron Mis; www.bbdolomia.com).
- L'Hotel Chalet Giasenei, davanti alla conca erbosa dell'anfiteatro Giasenèi, offre una bella vista sulle montagne e ha camere in legno rinnovate da poco, palestra e sauna, un piccolo biolago con lettini (via Prà Di Là 4, Sagron Mis; www.chaletgiasenei.com).
- L'AgriturBroch, azienda agricola al Passo Cereda, si segnala per la sua cucina trentina rivisitata e basata su prodotti a km zero, per le camere in legno con vista sui monti, e per le numerose attività della fattoria didattica, dedicate in particolare ai bambini che qui possono mungere le mucche, fare il burro, andare a cavallo (loc. Passo Cereda, Tonadico; tel. 389.0276413; www.agriturbroch.it).
- Il Ristorante pizzeria Miravalli propone ricette tradizionali trentine in un ambiente dal clima familiare, interamente in legno (via Passo Cereda 2, Sagron Mis; tel. 0439.65048).

Il biolago dello Chalet Giasenei e, sullo sfondo, il gruppo del Cimonega con il Piz del Palughet e il Piz de Sagron, Sagron Mis - foto di Roberto Copello​