Consigli di viaggio
Ci sono musei che valgono più di quel che contengono. E non tanto per l'architettura, ma per il valore simbolico che portano in dote. Il Polin, il museo ebraico di Varsavia inaugurato lo scorso 28 ottobre, è uno di questi. Polin significa dimora, ed è il nome ebraico della Polonia. Polin è anche un museo che racconta la storia di un millennio di presenza degli ebrei in Polonia. Una storia lunga, complessa e articolata che non può certo essere ridotta a sei, tragici, anni: quelli tra il 1939 e il 1945 in cui 3 milioni di ebrei polacchi vennero uccisi. Anni che, con la successiva campagna antisemita del regime comunista nel 1968 azzerarono la presenza ebraica in questa parte di Europa, quella che va da Berlino a Minsk.
UN MUSEO CHE VA OLTRE
Costruito laddove c'era il vecchio ghetto ebraico della capitale polacca il Polin non racconta solo del dramma dell'Olocausto come fanno altri musei tra cui lo Yad Vashem a Gerusalemme, o il Judisches museum di Berlino; ma enfatizza lo splendore e la vitalità della cultura Yiddish in questa parte d'Europa. Una vitalità che oggi immaginiamo guardando una tela di Chagall, leggendo un libro di Singer e Photok, ma che non possiamo più vedere e sentire andando in Polonia, o in Lituania. Al massimo la si rintraccia - con meno vitalità e apertura - nel quartiere ortodosso di Mea Sherim a Gerusalemme, o in qualche sobborgo di New York.
Costruito laddove c'era il vecchio ghetto ebraico della capitale polacca il Polin non racconta solo del dramma dell'Olocausto come fanno altri musei tra cui lo Yad Vashem a Gerusalemme, o il Judisches museum di Berlino; ma enfatizza lo splendore e la vitalità della cultura Yiddish in questa parte d'Europa. Una vitalità che oggi immaginiamo guardando una tela di Chagall, leggendo un libro di Singer e Photok, ma che non possiamo più vedere e sentire andando in Polonia, o in Lituania. Al massimo la si rintraccia - con meno vitalità e apertura - nel quartiere ortodosso di Mea Sherim a Gerusalemme, o in qualche sobborgo di New York.
Ma l'idea che sta alla base del Polin non è quello di costruire un memoriale per celebrare quello che fu. L'obiettivo è un altro, come racconta chi ha organizzato le collezioni del museo, l'antropologa americana Barbara Kirshenblatt-Gimblett. «L'obiettivo è raccontare una storia che non dia solo il senso dell'Olocausto, ma che vada anche oltre». Del resto, volendo vedere, l'intera Polonia, un Paese dove nel 1930 c'erano quasi 4 milioni di ebrei e oggi poche migliaia è un museo dell'Olocausto.
LUCE NATURALE E COMPLESSITA' NARRATIVA
ll museo, disegnato dall'architetto finlandese Rainer Mahlamaki rispettando le altezze dei palazzi delle zona e comprendo la struttura di pannelli di vetro per regalare al complesso luce naturale, ha una sezione permanente che racconta la complessità dell'incontro tra gli Ebrei e le terre polacche. Un incontro che si perde nei secoli (era circa il VII quando i primi gruppi arrivarono, anche se una vera e propria migrazione si ebbe nel XII secolo) e diede vita a una cultura ebraica specifica assai colorata e vitale. E di questa vitalità si ha testimonianza nella ricostruzione in legno della sinagoga di Gwozdziec, che oggi si trova in Ucraina.
Ma il museo di Varsavia non si limita a presentare la storia degli ebrei polacchi come quelli di una nazione dentro la nazione, piuttosto come parte integrante di un luogo e di una storia. «Non puoi costruire una buona storia della Polonia senza raccontare la storia degli ebrei di Polonia - ha affermato Dariusz Stola, il direttore del museo -. E non puoi avere una buona storia degli ebrei di questa parte del mondo senza ripercorrere la storia della Polonia». Così una visita al Polin diventa il primo passo per scoprire che in Polonia esistono ancora ebrei. «In questi anni si è fatto molto, si è fatta molta strada e tutto sta andando bene» spiegava mesi fa il rabbino capo di Polonia, Michael Schudrich. «Così bene che quasi mi preoccupo».
1 like