La fermata di Tsvetino è in mezzo ai boschi. Non c’è un paese, è nascosto dietro la collina, solo due esili marciapiedi e la tozza struttura della stazione: la sala d’aspetto riscaldata da una stufa a legna, due aperture nella parete come fossero gli sportelli dell’inesistente biglietteria – i biglietti ormai si fanno a bordo –, e un grande stanzone spoglio che ospita il capostazione. A qualche metro una casetta sbrecciata con le porte rotte accoglie i bagni.

Un fischio prolungato irrompe nella quiete delle cinque del pomeriggio, il treno della Tesnolineika – la ferrovia a scartamento ridotto che unisce Septemvri a Dobrinishte – annuncia il suo arrivo. Con impetuosa allegria dal bosco scendono prima tre, poi altri tre, infine una decina di ragazzini urlanti: sembrano “indiani” che assaltano la diligenza. Sono solo bambini, trasportano legna stipata dentro sacchi di plastica dura usati come zaini, con loro tre adulti. Il convoglio riparte mentre stanno ancora salendo, ma non è un problema: le porte si chiudono a mano, basta sbatterle con forza. 

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi /
La linea è a binario unico, le fermate sono tutte vigilate da capistazione in perfetta divisa. / foto Marco Carlone

LA FUNZIONE SOCIALE DEL TRENO

Ci sono luoghi in Europa dove il treno ha ancora una funzione sociale: la Bulgaria è tra questi. Eppure 15 anni fa volevano sopprimere questa storica linea che dalle pianure della Tracia, nella Bulgaria meridionale, sale verso i monti Rodopi, getta un occhio sulla catena dei Rila e si spegne ai piedi del massiccio dei Pirin.

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
Lo schema della ferrovia dei Rodopi. / WikimediaCommons

Era considerata un ramo secco: pochi passeggeri, tanti dipendenti, nessun guadagno. Poi è arrivato Kristian Vaklinov, e con lui Ivaylo e altre decine di persone che si sono battute per tenerla in vita. La cosa strana è che Kristian non è mai stato un passeggero abituale, era uno studente 17enne di Pazardžik, città dove la Tesnolineika arrivava fino ai primi anni Duemila. «Mia madre ha sempre insistito: “Studia inglese e vai via da questo Paese”. Ma io mi sono detto, se non faccio qualcosa io che sono giovane, chi farà qualcosa per noi, per la comunità? C’era questa lotta da fare, l’ho fatta».

Era il 2011: all’inizio sono state solo un paio di lettere senza risposta per lamentarsi della soppressione di alcune corse serali che rendeva difficile la vita ai pendolari. Ma è accaduto un miracolo, l’allora primo ministro ha risposto, ha chiamato Kristian che è diventato quasi un personaggio pubblico e la Tesnolineika una questione nazionale. «È stata salvata, però una volta cambiato il governo si è tornato a parlare di chiudere la linea, ma ormai tutti erano mobilitati e da allora nessuno ha più provato a metterla in discussione», racconta seduto nel suo ufficio alla stazione di Septemvri, ricolmo di memorabilia ferroviarie e bandiere rosse degli anni che furono. 

Da otto anni il trentenne Kristian è stato assunto delle BDŽ, le ferrovie bulgare. Si occupa dell’ufficio lamentele e in parte del marketing: e questa linea ne avrebbe bisogno. «Non la chiudono, ma non ne capiscono il potenziale: non c’è ancora la mentalità per vederla come un prodotto turistico che può giovare al territorio», commenta. «Anche se negli ultimi anni i passeggeri sono cambiati, in estate ormai la maggioranza sono turisti. Durante l’anno al 50 per cento è gente della valle al 50 turisti, tra cui tanti bulgari. Ma tutto succede per il passaparola, grazie al racconto dei media internazionali». 

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
Kristian Vaklinov nel suo ufficio alla stazione di Septemvri, / foto Marco Carlone

UN VIAGGIO DECISAMENTE LENTO

Alcuni vengono per il paesaggio, molti per il piacere di un viaggio decisamente lento, qualcuno – pochi – perché amanti delle architetture ferroviarie, e queste decisamente meritano. In alcuni tratti sono così ardite da far invidia al Trenino rosso del Bernina: solo che si trovano in Bulgaria, dunque vagoni panoramici e file di giapponesi sono un sogno. 

Costruita tra il 1915 e gli anni Quaranta, la ferrovia dei Rodopi è un’ardita opera di ingegneria: supera centinaia di metri di dislivello con un susseguirsi di gallerie, di cui un paio elicoidali. La volle il governo della giovane Bulgaria per collegare questi territori appena conquistati al resto del Paese, facilitando l’arrivo delle truppe qualora ci fosse stato bisogno di fronteggiare gli Ottomani, e per sfruttare le dense e buie foreste della zona. Durante il periodo socialista è servita per sviluppare la regione, oggi dozzine di fabbriche dismesse e mal in arnese punteggiano la valle.

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
Turisti sulla ferrovia dei Rodopi / foto Marco Carlone

«All’epoca c’erano 71 convogli al giorno, oggi sono appena una decina» racconta Iordanka Kovacka. Lei non c’era all’epoca di Todor Živkov, leader della Bulgaria comunista, forse era appena nata. Lavora nelle ferrovie da 24 anni, ma i racconti dei colleghi sui tempi belli li ha mandati a memoria. Del resto il tempo non le manca: un turno di lavoro dura 11/12 ore, quanto un’andata e ritorno: il rapido ci mette 4 ore e 40 per coprire 125 chilometri, quello lento 6 e 10. E poi in inverno nella carrozza buffet pensata per i turisti c’è davvero poco da fare. «Le cose però stanno migliorando, dal 2015 hanno ristrutturato i vagoni, i sedili sono più morbidi, il riscaldamento funziona», spiega Iordanka mentre il treno risale tra versanti incombenti. Il suo regno è un angolino del vagone centrale illuminato da un led azzurro totalmente fuori contesto, vende brioches e biscotti confezionati, bottiglie di birra e caffè liofilizzati, di pietanze salate – patatine a parte – neanche l’ombra. «Una volta lo usavano i lavoratori e c’erano panini, salsicce e tutti piatti preparati al momento», racconta. Ma non è più tempo di ristori viaggianti, neanche sull’Orient Express, figuriamoci qui. In salita si arranca, a bordo si sballottola, la velocità è così ridotta che forse a piedi si farebbe prima. Trainato da una locomotiva a gasolio costruita in altre epoche il convoglio sfiora le rocce, accarezza i rami di querce, sveglia le rare mucche al pascolo, disturba gufi, avvoltoi e altri uccelli acquattati nel bosco.

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
La moschea di Cherna Mesta,
a pochi metri dalla ferrovia
/ foto Marco Carlone

UN GUAZZABUGLIO DI STORIE

Risalendo la valle, quando spuntano i primi esili minareti che affiancano costruzioni bianche viene da pensare a quanti mondi si nascondano dentro questi mondi, quanto i Balcani siano sempre un guazzabuglio di genti, credi, storie. Una stratificazione di cui sappiamo poco, quando niente. In questi villaggi vivono i Pomacchi: bulgari con nomi turco arabi che frequentano la moschea invece della chiesa; alcuni parlano bulgaro, altri un dialetto turco, tutti sono molto laici. Ma sono autoctoni, nati qui e legati alla terra. Anche se nel Novecento a più riprese hanno provato a cacciarli, assimilarli, convertirli ora all’ortodossia, ora al socialismo. L’ultima volta, anni Settanta, hanno deciso perfino di cambiargli i cognomi, imponendo una versione slavizzata, cancellata con la fine del Comunismo. Tanti sono andati via, alcuni nelle valli più remote come questa sono rimasti. Lavoratori incredibili, i Pomacchi: per sopravvivere su queste montagne hanno sempre dovuto lavorare molto, molto sodo. E non potrebbe essere altrimenti, ti dici, quando vedi signore che si caricano sulle spalle 30, 40 chili di bottiglie di plastica ripiene di latte. Ogni mattina, tranne la domenica, alle 4 mungono la manciata di mucche che possiedono, alle 6.15 prendono il treno per Velingrad, dopo una mezz’ora scendono, iniziano a girare per la città portando il latte a domicilio, ritirano il vuoto, tornano in stazione per prendere il treno in senso opposto, verso le 10, e rifanno un chilometro di strada fino ai villaggi. 

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
Vita quotidiana in uno dei villaggi Pomacchi. / foto Marco Carlone

Abanitsa è uno di questi, la stazione di Tsvetino dista un chilometro, forse qualcosa di più. La via principale è anche l’unica, costeggiata da un manipolo di case sistemate da poco, ognuna ha accanto un grande fienile e una piccola stalla. In paese c’è una scuola con una manciata di studenti, una moschea con il tetto rifatto e uno spaccio che vende di tutto. L’aria odora forte di resina, o di letame, dipende da dove soffia il vento. Per strada carretti trainati da cavalli tozzi, guidati da Rom, che vivono concentrati ai margini di Velingrad, il capoluogo dei Rodopi, con circa 25mila abitanti. È l’ultimo centro abitato prima che la ferrovia risalga verso Avramovo, che con i suoi 1.267 metri di altezza è la stazione più alta dei Balcani ed è diventata punto di partenza per sentieri che si perdono tra le cime rotonde dei Rodopi. Qui scendono Hristo e i suoi amici, vengono da Sofia e da un paio di anni frequentano la zona perché hanno scoperto la comodità (ed economicità) del treno e amano fare trekking: oggi intendono raggiungere il villaggio più alto della Bulgaria, che dista cinque ore di faticosa salita.

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
Una delle signore che ogni mattina porta il latte in treno fino ad Avramovo. / foto Marco Carlone

LONTANO DALLA PAZZA FOLLA

Da qui sembra iniziare un altro mondo, sempre montano, sempre plurale, sempre povero ma meno duro. Si tratta comunque di luoghi ultimi, lontani dalle traiettorie della vita contemporanea, figurarsi dal turismo. Su questo versante la valle si allarga e poi spiana: tanto dall’altro lato il paesaggio era aspro, tanto da questo è alpino, gli abeti rossi prendono il posto delle querce, solo la velocità non cambia. Anche in piano non si superano i 30 chilometri all’ora, velocità di punta che ottiene solo il risultato di far dondolare ancor di più i vagoni. Nonostante questo, gli sparuti turisti di oggi, tra cui un greco di Atene – Nikos – che è venuto solamente per il piacere di viaggiare su un treno vecchiotto, continuano ad aprire i finestrini per scattare foto a ogni mucca e a ogni moschea, e ogni tanto anche se non si potrebbe sostano in equilibrio precario nei passaggi che uniscono le varie vetture, che sono all’aperto e danno l’impressione di star facendo qualcosa di eroico. Il convoglio sbuffa sempre, a ogni fermata scendono in pochi e ne salgono ancora meno, mentre i capistazione rispettosi del proprio ruolo, indossano impettiti il cappello rosso d’ordinanza e la giacca buona per far ripartire il convoglio alla vecchia maniera, con paletta e fischietto.

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
Chiacchiere tra viaggiatori abituali del treno dei Rodopi. / foto Marco Carlone

Si perde lentamente quota andando verso Bansko, e qui diventa davvero un altro mondo. Un centro urbanizzato, molto trafficato, popolato di turisti inglesi che vengono a sciare qui perché costa molto meno che sulle Alpi. Il paese è dominato dalle piste da sci che tagliano in due le montagne, piste dove si disputano le gare di Coppa del Mondo, ed è di gran lunga la località turistica più importante della zona. Sullo sfondo, da un lato le vette aguzze e innevate dei monti Rila, dall’altro il profilo arrotondato dei Pirin. Il viaggio terminerebbe lì, sei chilometri oltre Bansko, a Dobrinsisthe, cittadina termale che sta in fondo all’altopiano e dove la costruzione della ferrovia quasi un secolo fa è stata interrotta. Potrebbe, anche se Bansko offre di più, essere una possibile sosta: una notte in qualche albergo termale che conserva l’atmosfera della Montagna Incantata di Thomas Mann, ma in salsa socialista. 

Invece torniamo indietro, verso la pianura. Altre cinque ore di dondolio, altre cinque ore di montagne, di villaggi riflessi nel finestrino e di solitudini poco rumorose. Il convoglio della Tesnolineika scende sferragliando, sbuffa per la stanchezza, a quest’ora è quasi vuoto. Si torna verso Septemvri per riguadagnare la vastità della pianura tracia, il paesaggio si rabbuia, scende l’oscurità sui paesini rannicchiati lungo la valle. Si ha l’impressione che oltre il finestrino esploda il silenzio, come se l’umanità fosse andata a farsi una lunga siesta prima della prossima partenza.  

Bulgaria, in treno sui monti Rodopi
Il treno a scartamento ridotto attraversa i Rodopi / foto Marco Carlone

INFORMAZIONI UTILI

  • La Tesnolineika unisce Septemvri, in Tracia, con Dobrinishte, ai piedi dei monti Pirin. Il punto di partenza più comodo è Septemvri, anonima cittadina sulla linea ferroviaria che unisce Sofia e Plovdiv. I biglietti si fanno in stazione a Septemvri o a bordo, orari e info su razpisanie.bdz.bg. La capitale Sofia è facilmente raggiungibile in aereo dalla maggioranza delle città italiane con voli low cost.
  • Gli amanti del treno, e non solo, possono arrivare fino in Bulgaria grazie agli lnterrail Pass  che permettono di viaggiare in 33 Paesi con un unico biglietto, senza limiti di età. Esistono anche One Country Passes limitati a un singolo a Paese; interrail.eu/it.