Più che muro è sempre stato un muretto, una barriera che assomigliava alla cancellata di un giardino più che a una cortina di ferro. Ma questi sono dettagli da geometri: muro, muretto o staccionata quel che conta è che per 60 anni ha diviso quel che per secoli era stato una cosa sola: la città di Gorizia e il suo contado. 
La data da tenere a mente è il 10 febbraio 1947. Quel giorno per terra venne dipinta una linea bianca con la vernice, una retta tracciata su una mappa, senza tener conto di nulla: proprietà, campi, case, vite. «Nulla, come se le cartine fossero fogli bianchi, vuote. Da allora Gorizia è diventata una testa senza corpo, una città senza retroterra dopo mille anni di simbiosi assoluta» racconta Adriano Ossola, direttore del festival èStoria, nato nel 2005 in questa città che di storie è densa. «Di là si inventarono una nuova città, costruita da zero lì dove era tutta campagna, con un nuovo modello urbanistico che avrebbe dovuto simboleggiare la nuova era».
70 ANNI DI STORIA IN UN RACCONTO A TRE VOCI
A raccontare come fosse vivere negli anni in cui questa maglia è stata strappata ci sono tre piccoli musei che ognuno a suo modo da voce, e immagini a un periodo che è durato 70 anni. Uno di questi si trova dentro la stazione Transalpina, il più vecchio edificio della città slovena: con il rumore delle locomotive diesel in sottofondo a raccontare la storia della divisione. Un museo allestito dentro una delle sale d’attesa, accanto al bar. Si entra dalla banchina del primo binario: un museo vecchio stampo, vetrine di cimeli, mappe che raccontano. Conserva la stella rossa che dominava la stazione in epoca jugoslava, giornali d’epoca, divise, fotografie e un pezzo della rete che fino all’anno scorso era ancora lì, a dividere il piazzale. Gli altri due sono stati allestiti all’interno degli uffici dei doganieri che si trovano al valico di seconda categoria del Rafut, uno dal lato italiano, l’altro dal lato sloveno: il museo del Lasciapassare/Prepustnica e il museo del Contrabbando. Separati da una sbarra verniciata con tricolore, dall’eterna ferrovia, un campetto da basket e un giardinetto con gli scivoli, entrambi raccontano la vita quotidiana intorno alla frontiera.
LA GORIZIA MEMORY EXPERIENCE PER CAPIRE LA CITTA' DEL 900
Aperto quest’anno il museo del Lasciapassare/Prepustnica è l’ideale tappa conclusiva della Gorizia Memory Expercience un percorso interattivo organizzato dall’Associazione Quarantasettezeroquattro, la stessa che ha allestito il museo, ideale per comprendere la complessa storia della città nel Novecento. «Abbiamo allestito dieci tappe, 6 in Italia, 4 in Slovenia che tracciano una topografia della memoria e raccontano che cosa volesse vivere a Gorizia durante il Novecento» spiega Alessandro Cattunar, storico goriziano che ha lavorato al progetto. Lo hanno fatto collocando totem da cui guardare alla città che era, facendosi spiegare grazie a una app la vita al tempo della separazione da chi l’ha vissuta.
Ma il progetto punta a raccontare la storia della città non limitandosi agli ultimi 60 anni, perché senza sapere cosa c’era prima non si capisce la complessità in cui si è immersi. «Bisogna sapere chi erano i goriziani a inizio Novecento, e non è così semplice perché tutti erano un poco misti, non solo si parlavano italiano, sloveno e friulano, ma le tre comunità a differenza di Trieste erano molto mescolate, l’ibridizzazione era la norma» prosegue.
«Dopo la prima guerra mondiale la città asburgica diventa italiana e questo forza l’identità anche monumentale della città, nascono nuove vie, una nuova toponomastica che segna il cambiamento», spiega Cuttunar. Così, per esempio, quella che era sempre stata per tutti Travnik, la piazza del mercato, o piazza grande diventa piazza della Vittoria. Anni difficili quelli del Ventennio, nel 1927 viene incendiato il Tr­go­v­ski Dom, il palazzo che era il punto di ritrovo della componente slovena di Gorizia, che negli anni viene italianizzata a forza. Perché esser goriziani è sempre significato essere figli di una stratificazione.
CAMMINI DI PACE TRA KRANISKA GORA E TRIESTE
Così il confine con la sua netta divisione tra noi e loro, italiani e sloveni, comunisti e consumisti, risulta essere ancora più insensato che altrove. «Vero, siamo tutti bastardi, questa terra è un gran mischione, un punto con tre culture: slava, latina, tedesca. Qua dal Tagliamento è così: io che cosa sono? Boh, italiano per il passaporto, chiaro. Ma in realtà che cosa è il mio sangue, la mia cultura ?», riflette Marco Mantini, contabile con la vocazione della storia che molto ha lavorato sulla memoria, specie quella legata al primo conflitto mondiale.
«Eppure c’è ancora chi soffia sulla brace della storia, ma non capisce la complessità di questa terra. La transfrontiera è nelle cose, ma forse non nella testa di tutti», aggiunge Mantini. «Per questo anni fa sono state ideati i Walk of peace, i cammini di pace, perché sul Carso, sul fronte Isontino la Prima guerra ha lasciato segni militari di ogni tipo (cimiteri, cappelle, postazioni, trincee, monumenti) e si è deciso di unire tutte queste testimonianze in un unico percorso, prima solo in Slovenia, poi grazie a un progetto Interregg anche di qua dal confine. Così oggi ci sono percorsi segnalati da Kraniska Gora a Trieste. Un modo per far uscire la storia dai musei e farla parlare».
Se la Prima guerra mondiale ha segnato una ferita, la Seconda ha buttato sale, e tanto, sul dolore, dividendo in forma, per ora, definitiva. C’è una immagine significativa di questa assurdità, si vede in un documentario proiettato al museo del Lasciapassare, al Rafut. Si vede una mucca che sta sul confine, giusto una mano di vernice bianca tracciata per terra che però divide la stalla dal fienile. La stessa immagine si vede anche al Museo del contrabbando, cinquanta metri più in là che per decenni sono stato un fossato, a meno di non avere il Lasciapassare/Prepustnica. Ovvero il documento che permetteva a chi viveva entro un tot di chilometri dalla frontiera di passare di là “liberamente” e importare quantitativi limitati di merci che erano più convenienti, o di migliore qualità, da uno dei due lati.
Così, come racconta il museo del contrabbando, gli italiani andavano in Jugoslavia a prendere carne e miele, sigarette, grappa e anche rum che arrivava direttamente da Cuba, esempio di solidarietà socialista. Mentre gli jugoslavi venivano a prendere jeans e bibite gassate, medicine, piastrelle e letteratura proibita, dai giornaletti pornografici ai romanzi censurati oltre cortina. Anche se il bene più contrabbandato era il caffè, o quanto meno quello che più spesso individuavano i doganieri.
Poroso per le merci, il confine era ben più ostico per le persone, specie fino agli anni Settanta. «A proteggerlo era soprattutto la paura, anche se per chi viveva qui, paradossalmente il confine era meno pesante rispetto a chi viveva a Lubiana – racconta David Kozuh, etnologo, che si occupa del museo –. Questo lo capisci solo se parli con la gente di qui, se ascolti il loro vissuto, se chiedi come la percepivano. Per questo abbiamo registrato le testimonianze delle persone dei due lati, perché non è affatto scontato, come invece emerge dalle interviste che per molti il confine alla fine non era negativo. Anche se certo, qualcuno ha avuto traumi, molti, specie dal lato italiano non l’hanno mai voluto attraversare».
GORIZIA/NOVA GORICA, UNA CITTA' PLURALE
Ma per la maggioranza il confine è stato diverso, un po’ come la linea dell’orizzonte quando sei al mare che lo guardi, e sei curioso di sapere che cosa c’è oltre. Ma certo, visto oggi il confine, questo confine è più una storia dolorosa e assurda che altro. «Se penso al confine penso a quella mucca: a che cosa ha dovuto rinunciare, stalla o fieno? Ecco, così è stato per tanti goriziani, tutti hanno dovuto rinunciare a qualcosa», spiega Cattunar.
Allora per andare oltre i confini e la loro barbarie imposta da lontano servono posti come il Kulturni Dom, la casa della cultura Slovenia di Gorizia. Un posto che, ben prima che qualcuno inventasse la Capitale della cultura, con la sua filosofia inclusiva ha sempre voluto essere una casa della convivenza tra le tre comunità del territorio goriziano. «Siamo nati nel 1981, oggi facciamo 200 eventi l’anno all’insegna dell’attraversamento dei confini» racconta Igor Komel, il direttore. «Abbiamo sempre pensato che possiamo essere amici solo se ci conosciamo, e allora conosciamoci: questo luogo è nato per questo, perché è importante che la gente che vive nei territori misti respiri con tutti e due i polmoni: quelli vicino al cuore della lingua madre e quello del vicino di casa», aggiunge.
«Essere plurimi era la nostra natura di goriziani: del resto perché essere uno quando puoi essere tante cose? Essere plurimi è una ricchezza, dire che sei una cosa e non un’altra ti impoverisce», concorda Cattunar. «La Gorizia/Nova Gorica del futuro deve essere questo, una città plurale, dove tutti si capiscono, ognuno sa la lingua dell’altro, come la sapeva mia nonna, che parlava quattro lingue. Sarebbe un bel lascito per Go2025» conclude. Gorizia, una terra di confine dove nessuno è straniero.
INFORMAZIONI 
Museo del Lasciapassare.
Aperto Sabato e domenica dalle 15 alle 19 (orario estivo)

Da lunedì a venerdì su prenotazione.
Chiamare ufficio cultura Comune di Gorizia e Associazione quarantasettezeroquattro
Museo del confine, Slovenia.
Il progetto Museo sul confine include quattro località, quattro musei minori, situati lungo il confine di Stato: Collezione museale Kolodvor presso la stazione ferroviaria di Nova Gorica, Collezione museale Pristava (Prestava) negli ex uffici del valico di seconda categoria di Pristava, Torre di guardia a Vrtojba (Vertoiba) e Collezione museale Miren (Merna).
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