«Il mare non è solo un luogo, è uno stato d’animo». Lo scriveva Jean-Claude Izzo, lo pensa ogni surfista del Sinis. «Quando guardo il mare, vedo la mia libertà» aggiungeva lo scrittore francese. Il perché lo capisce chiunque arrivi in questa terra di silenzio e mistral, in una giornata di settembre, quando la luce diafana si poggia sulla rupe di calcare. Il vento disegna onde quasi perfette, dopo un mese di calma e sciabordii leggeri. La comunità di surfisti rinasce con l’arrivo della mareggiata e le tavole riempiono la baia. E così il Sinis, nella costa centro occidentale della Sardegna, a circa mezz’ora da Oristano, è diventato un posto speciale per fare surf, tra le mete più ambite di tutto del Mediterraneo.

“Il surf è molto di più che prendere onde. È essere lì, in mezzo al mare, a contatto con una forza naturale. Devi essere pronto quando il mare ti dà l'opportunità. Non puoi decidere tu. E poi ogni onda è diversa, ed è proprio questo che rende il surf così speciale: non sai mai esattamente cosa aspettarti. Magari stai in acqua per ore e prendi solo una o due onde, ma ti ripagano tutto” racconta Giangi Chiesura, tra i pionieri del surf nel Sinis, che ha infinite storie di mare impresse nel viso e del mare ha fatto una ragione di vita. Come Alberto Costa che abita davanti ad uno degli spot (come chiamano i surfisti un posto dove si fa surf) più belli d’Italia, S’Istella, a s’Archittu, pochi chilometri dal Sinis. Di lui dicono sia un po’ magico, sarà perché dieci anni fa, alle Hawaii, ha vinto la medaglia d’argento al Buffalo Surfing Classics, gara che richiama centinaia di surfisti da tutto il mondo. “Nel Sinis – dice Alberto - in pochi chilometri trovi diversi posti dove surfare, ognuno con caratteristiche uniche: in base alla tua abilità puoi scegliere dove andare e spostarti di pochissimo. E puoi farlo in una zona che non è cambiata molto da quando si è iniziato a fare surf: mantiene la sua essenza, il suo lato selvaggio, la sua autenticità”.

Surf nel Sinis - foto Monica Porcu
Surf nel Sinis - foto Monica Porcu

L'oceano non è così lontano

Il Sinis è un luogo fatto di paesaggi a tratti persino onirici: oasi iridescenti, piccole isole, villaggi ancora remoti. E in questo contesto naturalistico-ambientale c’è un’onda meravigliosa, migliore delle altre.

“L’onda di Capo Mannu è molto simile a quella dell’oceano, ma qui sei nel Mediterraneo, un mare chiuso. Vuol dire che c’è una frequenza di onde molto alta: per oltre 200 giorni l’anno qui si può surfare. Ma anche per dimensione, lunghezza e regolarità le nostre onde si somigliano a quelle oceaniche” sottolinea Vincenzo Ingletto, istruttore e co-fondatore dell’Is Benas Surf Club, la prima scuola di surf nata in Italia, nel 1997. “E puoi farlo tra scenari che non trovi in nessun’altra parte del mondo. Prendi Sa Mesa Longa, uno degli spot più impegnativi e amati della zona: d’inverno l’acqua si abbassa e diventa cristallo, dall’isolotto spunta il verde fluo dell’erba appena nata, la scogliera propaga un’adrenalina che oltrepassa la muta. E magari, oltre te, ci sono solo fenicotteri e delfini, nella cala”. 

Andrea Bianchi, surfista, fotografo e giornalista, spiega che “abbiamo queste onde grazie a una combinazione fortunata di fattori come l’esposizione alle perturbazioni che provengono dall’oceano Atlantico, o la presenza di un fondale di roccia, e non di sabbia, che degrada in un certo modo. Non c’è nessuna impronta antropica: è un regalo che ci ha fatto madre natura, molto semplice”. 

Surf nel Sinis - foto Monica Porcu
Surf nel Sinis - foto Monica Porcu

Storie di riviste e di film

Dove c’è una community di surfisti c’è una base antica: quella del Sinis è nata alla fine degli anni ’70, inizio anni ’80. Allora c’erano una manciata di case, paesaggi sbiaditi. E qui ci arrivavano solo i sardi.

A Capo Mannu prima è arrivato il windsurf: avevo 10-12 anni quando ho iniziato; le condizioni ottimali per il windsurf erano onde giganti, ma non si pensava all’onda di Capo Mannu” racconta ancora Giangi Chiesura.

Poi qualcuno ha iniziato a viaggiare e ha portato qui il surf. Galeotte furono le riviste di oltreoceano, sfogliarle fu come un’epifania: le foto slavate di paradisi inesplorati dall’altra parte del mondo e gli acrobati del mare immortalati all’apice di manovre aree mai viste prima scatenarono il desiderio di saperne di più ma anche di provare questo sport sconosciuto. “Surfing” e “Surfer” erano magazine americani, alcuni numeri raggiungevano anche l’Italia, dove ai tempi si parlava di surf solo nelle rubriche delle riviste di windsurf (“Windsurf Italia” e “Surf”).  E allora si partiva verso posti che erano stati la pancia del surf come California, Australia, Hawaii. Al rientro da questi viaggi, euforici e elettrizzati, i precursori del surf nel Sinis iniziarono a scivolare sull’acqua, prima adattando le tavole da windsurf e poi comprando le prime tavole da surf.

Ma c’era ancora una zona di spot bellissimi da scoprire. Probabilmente furono Roberto (Bobo) Lutzu, lo stesso Giangi Chiesura e pochi altri, non del posto, che entrarono per primi a fare surf da onda a Capo Mannu, diversi anni dopo le prime surfate del Sinis. All’epoca non avevano applicazioni sul cellulare, come Surfline, per controllare il meteo in anticipo. Come vecchi lupi di mare riconoscevano i cambiamenti del tempo dall’odore dell’aria, dal colore delle nuvole, dagli impercettibili movimenti delle piante del giardino. Fronte mare. 

Surf nel Sinis - foto Monica Porcu
Surf nel Sinis - foto Monica Porcu

Intanto le case dei pionieri diventavano piccoli templi del surf e a subirne il fascino erano soprattutto i quasi adolescenti che erano stati catapultati nella versione più autentica di questo sport che forse non è uno sport, ma una filosofia di vita. Lo stesso Vincenzo Ingletto parla di una relazione iniziata per caso, ma poi sempre più intensa, con quello che poi è diventato un grande amore: “Andavamo per le ricette a casa di dr. Lutzu (Bobo) che era il nostro medico: aveva un ambiente surf in casa e noi ci siamo appassionati. Stavi là ore a guardare un album di foto fatte a Tahiti o un giornale specializzato. Gli adulti ci hanno trovato le prime attrezzature e un'estate eravamo una trentina di ragazzi, a provare. Abbiamo iniziato così”. E ancora una volta le riviste diventarono la Bibbia. Mauro Vidili, amico d’infanzia di Vincenzo Ingletto, ricorda che “come è arrivata questa voce del surf, abbiamo iniziato anche noi. Per anni abbiamo usato la stessa tavola in tre, una Spirit. Abbiamo voluto imitare ciò che vedevamo sulla carta, in termini puramente sportivi: non c'erano ancora i video, non c’era internet. E piano piano abbiamo progredito portando il surf a un livello innovativo, riproducendo evoluzioni e virtuosismi che vedevamo nelle immagini.” 

L’arrivo dei voli low cost, alla fine degli anni ‘90, ha portato, quasi per caso, i nord europei a scoprire questo angolo di Sardegna. Ma è stato il film di Jason Baffa, “Bella Vita” girato anche nel Sinis nel 2012, con la sua poetica visiva, a trasformare questa costa in una destinazione di culto per gli appassionati. Chris Del Moro, surfista italo-americano protagonista del documentario, ha mostrato al mondo la bellezza nascosta di queste onde. Per i surfisti sardi è stato come assistere a un incontro tra globale e locale che ha creato connessioni cosmopolite, ma ha anche amplificato la gratitudine del vivere in questo pezzo di costa benedetta dagli dei del surf.

Surf nel Sinis - foto Monica Porcu
Surf nel Sinis - foto Monica Porcu

Un buon posto dove vivere

Intanto il surf è diventato una moda: farlo o far finta di farlo è di tendenza (che due foto su una tavola sono like assicurati, sui social). Ma chi fa parte di una comunità continua a viverlo come un irrinunciabile e perpetuo innamoramento

I surfisti che arrivano dall’estero ammirano questa devozione assoluta per il mare che ancora si sente nel Sinis. Per loro è come rivivere la California degli anni '60: stare in spiaggia, mangiare qualcosa tutti insieme, addormentarsi e poi rientrare in acqua. Lì il surf è quasi fitness, qui invece è comunità, natura, pura passione. La visione romantica dei pionieri perdura: il surf è totalizzante, una ragione di vita. 

“Le onde non aspettano nessuno. Se ci sono onde, tu vai. Fine della discussione” si legge nel romanzo La pattuglia dell’alba di Don Winslow. Un po’ come sentire Bebo Pulisci, purista locale del surf: “Se arriva la mareggiata si chiude tutto per surf”. Oppure Andrea Bianchi, altro soul surfer che ha deciso di vivere davanti all’acqua: “Il mare è la nostra chiesa. Quando arriva l’onda, è come una chiamata religiosa, tutti vanno”. 

Perché il Sinis è un buon posto dove surfare. E se sei un surfista vero è anche un buon posto dove vivere. Lo sa bene Tiziana Di Marco, surfista e insegnante di yoga che ora vive a Funtana Meiga, a pochi passi dagli spot che sono stati inseriti nella Storm Rider Guide, una guida con informazioni dettagliate sulle migliori onde in tutto il mondo. “Avevo uno studio avviato in Toscana. Però iniziavo a sentire che la dimensione della città non era più mia e cinque anni fa mi sono trasferita nel Sinis, che per me è la possibilità di seguire un ritmo naturale, vivibile, umano, legato a un tuo tempo interiore e alle relazioni con le persone. Per ora è il posto che sento come casa: vedere il mare dal mio balcone tutte le mattine, ogni giorno dell'anno è fondamentale”.

Anche Chiara Bellini è nuova abitante dell’isola: dalle montagne valtellinesi si è trasferita nel litorale di Is Arenas dove, insieme al compagno, insegna surf ai turisti alla Water Spirit Sardinia. “Volevamo lavorare d'estate e avere più tempo libero d'inverno, per goderci il mare. Qui la vita è molto rilassata, ci sono meno servizi, ma proprio per questo hai una routine semplice e tranquilla, perfetta per chi vive di surf”. 

Il Sinis scandisce il modo di vivere dei surfisti. Basta percorrere i sentieri lungo costa, una sera di fine estate, respirando elicriso e iodio, per accorgersi che tutto il mondo di un surfista è lì. Il maestrale è arrivato il giorno prima, adesso l’energia è quella giusta: il mare ha preso la sua forma. Ogni tanto da un cespuglio sbuca fuori qualcuno con una tavola sottobraccio. Uno sguardo veloce all’orizzonte, per iniziare a leggere da lontano: cosa faranno tra poco, le onde?

Surf nel Sinis - foto Monica Porcu
Surf nel Sinis - foto Monica Porcu

In mezzo all’acqua celeste e tiepida, tanti puntini neri aspettano, pazienti. La line up (la linea di attesa delle onde) è affollata. Inizia una danza ipnotizzante, le tavole fluttuano sulle creste scintillanti. Lì in mezzo c’è chi cerca l’onda perfetta per volare senza un motore, chi vuole giocare, chi medita focalizzandosi sul “qui e ora”. E inventando quelle traiettorie felici, ognuno può essere un eroe, anche solo per un giorno. 

Intanto esce dall’acqua Bebo Pulisci, che oltre ad essere surfista da una vita è un artigiano che crea e aggiusta tavole. Lui e Giuliano Marras sono shaper (così si dice, in gergo) per hobby: “Non diventeremo mai ricchi, ma il senso di tutto, per noi, è la passione che ci mettiamo. Abbiamo fatto l'ultima tavola per il quattro volte campione italiano di longboard, Mattia Maiorca: è la più grande delle soddisfazioni vedere lui surfare con una tavola fatta da noi.” E proprio Mattia, mentre un sole morbido sfiora cielo e mare, sta interpretando le onde, muovendosi con un’eleganza divina. Lui è un atleta cresciuto nell’Is Benas Surf Club e nel 2017, a 18 anni, è diventato il più giovane campione italiano di longboard.

A fine settembre le giornate iniziano ad accorciarsi, l’esodo dei villeggianti lascerà spazio a una stagione mite e lenta. E il mare torna a essere un privilegio per pochi. Qui la “Bella Vita” inizia con l’autunno. Il Sinis non è un luogo, è uno stile di vita.