Spiagge e resort, zucchero e tè, etnie differenti e ville coloniali, francobolli e velieri in miniatura. Sono le immagini che il turista porta a casa da una vacanza a Mauritius. Un’isola immersa nel blu dell’Oceano Indiano ma che ha anche un volto “verde”, fra piantagioni e foreste, wilderness e destinazioni ecoturistiche. L’isolamento geografico ha fatto di Mauritius l’isola della biodiversità per eccellenza, ma anche un emblema dei rischi posti alla sopravvivenza delle specie più rare, un luogo che tuttora ospita piante e animali unici al mondo ma che tanti altri ne ha visti scomparire per sempre da quando vi è sbarcato l’uomo. Una Mauritius sorprendente, insomma, da scoprire ma soprattutto da preservare, all'insegna di un turismo sempre più responsabile. Come? Dove? Ecco alcune storie e luoghi esemplari.

Mauritius, la penisola di Le Morne Brabant - foto Ente del Turismo
Mauritius, la penisola di Le Morne Brabant - foto Ente del Turismo
Le terre dei "sette colori" di Chamarel, Mauritius - foto Ente del Turismo
Le terre dei "sette colori" di Chamarel, Mauritius - foto Ente del Turismo

NEL PROFONDO SUD

La Mauritius più vergine si trova nel montuoso sud dell’isola. Qui la Bel Ombre Nature Reserve comprende tre riserve assai diverse, dove geomorfologia e clima forniscono habitat preziosi per specie vegetali e animali endemiche, nonché animali esotici introdotti sull'isola. Bel Ombre (strana accoppiata di un aggettivo maschile e un sostantivo femminile) è insomma un eden di biodiversità che si estende dalle montagne al mare, ovvero da foreste tropicali e cascate impressionanti alla selvaggia costa dell’oceano (nelle cui acque si può ammirare dal cielo una cascata subacquea, un fenomeno naturale unico). Un enorme parco, la cui gestione collabora con ong come Mauritian Wildlife Foundation, Reef Conservation e SOS Patrimoine, senza blindare il proprio ecosistema ma aprendolo a chiunque, facendone un terreno di gioco e di scoperta ma anche di presa di coscienza ecologica.

Bel Ombre, la costa con l'isolotto Sancho - foto di Roberto Copello
Bel Ombre, la costa con l'isolotto Sancho - foto di Roberto Copello

Al centro di accoglienza di Beau Champ, ricavato in un’antica residenza estiva dei governatori inglesi e francesi, vi spiegheranno come le piante esotiche siano state sradicate per sostituirle con specie endemiche. Da qui, accompagnati da un ranger, si parte per esplorare la prima riserva, l’ondulata regione di Frédérica, nome di una tenuta ottocentesca di canna da zucchero: oggi è un santuario della fauna selvatica, dove si va a scoprire la cascata L’Exemple e a fare picnic lungo il fiume Jacotet. Seconda riserva è L'Abbatis des Cipayes, che si estende su terreni dove un tempo si coltivavano riso, mais, lenticchie e manioca, e che oggi la natura si è ripresa, invadendoli di palmeti: l’occhio esperto potrebbe riconoscervi un endemico e rarissimo latanier bleu o Latania loddigesii. Infine, fiore all’occhiello di Bel Ombre è l’area Macchabée-Bel Ombre, riserva Unesco della biosfera sin dal 1977, che ospita resti della vegetazione primordiale dell’isola, tra paludi, brughiere, foresta tropicale sempreverde. 

Alla fine del giro si torna a Beau Champ, per uno spuntino presso la vecchia casetta detta Enba Pié. Significa “Sotto un albero” in lingua creola e l’albero è uno spettacolare Ficus microcarpa noto anche come baniano cinese ma che qui chiamano arbre de l’intendance: vecchio 140 anni, estende i suoi rami in orizzontale per parecchi metri. Un albero che non si vorrebbe lasciare mai, mentre ci si delizia spiluccando specialità locali come le frittelle di arouille (radice di taro) con chutney di coriandolo, l’insalata di polpo con il lime, il vindaye di pesce fritto e sottaceto, il flan di cocco. 

Il ficus di Enba Pié - foto Roberto Copello
Il ficus di Enba Pié - foto Roberto Copello

In zona è da visitare anche il World of Seashells, la collezione di conchiglie più grande di tutta l’Africa, allestita nel mulino di un antico zuccherificio. Gli esemplari raccolti da un appassionato collezionista mauriziano, Eric Le Court de Billot, sono ben ottomila. Il museo comprende sezioni storiche e didattiche, con animazioni in 3D e laboratori dove si può creare virtualmente una propria conchiglia.

LA FORESTA DELL'EBANO

All'angolo sud occidentale di Mauritius c'è poi la Ebony Forest, 45 ettari di foresta primaria, aperti al pubblico nel 2017 con l'obiettivo di sensibilizzare sull'importanza della biodiversità, dopo avervi piantato 140mila piante indigene. A dar nome alla foresta sono l'ebano nero (Diospyros tesselaria) e ben altri dieci tipi di alberi di ebano, ma gli alberi endemici sono tantissimi, come il bois de natte (Labourdonnaisia glauca), il colophane (Canarium paniculatum), il bois de gaulettes (Doratoxylon apetalum), il colophane bastardo (Protium obtusifolium), il tatamaka (Calophyllum eputamen), il tambalacoque o albero Dodo (Sideroxylon grandiflorum), e via dicendo. Nel centro visite si può vedere un film di sei minuti che offre un'idea di com'era l'isola prima dell'arrivo dell'uomo

L'ISOLA DEGLI AIRONI

Per gli storici, la baia davanti a Mahébourg, sulla costa sud orientale di Mauritius, è famosa perché fu il teatro nel 1810 della sanguinosa battaglia di Grand Port, l’unica grande vittoria navale napoleonica contro la Marina britannica, tanto da essere ricordata a Parigi sull’Arco di Trionfo. Per i naturalisti, invece, lo è per alcune isolette di grande attrattiva ambientale. La più nota e più estesa è l’Île aux Aigrettes, un’isola corallina di 27 ettari a 850 metri dalla costa.

La penisola di Le Preskîl, davanti alla Île aux Aigrettes - foto di Roberto Copello
La penisola di Le Preskîl, davanti alla Île aux Aigrettes - foto di Roberto Copello
Un vivaio per la riforestazione, Île aux Aigrettes - foto di Roberto Copello
Un vivaio per la riforestazione, Île aux Aigrettes - foto di Roberto Copello

Coperta dagli ultimi resti delle foresta costiera secca mauriziana, in passato aveva subito pesanti interventi di deforestazione. Tuttavia, una volta proclamata riserva naturale nel 1965, il suo ecosistema è stato ripristinato, oggi vi crescono rare orchidee e alberi di ebano, ed è ritenuto il luogo più simile a come Mauritius doveva apparire ai suoi primi esploratori, quasi cinque secoli fa. Ma soprattutto l’Île aux Aigrettes (che non ospita più gli aironi da cui ha preso il nome) è diventato un laboratorio vivente dove, in assenza di predatori, far riprodurre specie in via di estinzione: un santuario ieri per gheppi di Mauritius e tessitori di Mauritius, oggi per piccioni rosa e tartarughe giganti di Aldabra (Aldabrachelys gigantea), importate dalle Seychelles per rimpiazzare le due specie di tartarughe mauriziane estinte. Alla riserva, gestita dalla Mauritian Wildlife Foundation, si accede solo con visite guidate, imbarcandosi da Pointe Jérome, vicino a Le Preskîl. Il tour standard dura due ore, ma c’è anche la possibilità di visite approfondite, di 5-7 ore. 

Testuggine gigante di Aldabra - foto di Roberto Copello
Testuggine gigante di Aldabra - foto di Roberto Copello

LA RESURREZIONE DEL DODO

Ci sono poi gli animali endemici, quelli che vivono o vivevano soltanto a Mauritius. A iniziare dal dodo, il goffo gallinaccio divenuto simbolo di tutti gli animali estinti. Secondo un modello digitale 3D dell'uccello sviluppato sulla base di uno dei due unici scheletri interi esistenti, il Raphus cucullatus era alto circa 70 centimetri e pesava dai 15 ai 18 chili. Viveva solo a Mauritius. Raffigurato per la prima volta in una stampa del 1598 dove si vedono gli olandesi fare strage di parrocchetti, nel 1693 era ormai scomparso: secondo studi recenti fu vittima più dell'introduzione sull'isola di maiali e topi che non, come si è sempre creduto, delle bastonate degli esploratori europei (incapace di volare e di fuggire, non occorreva sprecare pallottole). E tuttavia il dodo sull’isola è presente più che mai: su magliette, poster, francobolli, nella sala a lui dedicata nel Natural History Museum di Port Louis. Gerald Durrell, il grande zoologo che eliminò dalla piccola Round Island i topi, i conigli e le capre che stavano distruggendo rettili e pianticelle senza uguali, nel romanzo fantazoologico L’uccello beffardo immaginò che in una valle nascosta di Zenkali, alias Mauritius, ancora sopravvivevano dodo liberi e felici. Un dodo vivo? Ma va là! Eppure adesso c’è chi ci crede davvero, grazie a genetica e intelligenza artificiale. 

La stampa olandese del 1598: a sinistra, in alto, si vede il primo dodo mai raffigurato
La stampa olandese del 1598: a sinistra, in alto, si vede il primo dodo mai raffigurato

A provarci è la società di ingegneria genetica e de-estinzione Colossal Biosciences (che ha sedi a Dallas, Boston e Austin) fondata da un genetista di Harvard, George Church, con l'obiettivo riportare in vita le specie estinte, come il mammut e la tigre della Tasmania. Valutata oltre un miliardo di dollari, nonostante finora non abbia de-estinto alcun animale, nel gennaio 2024 ha firmato un accordo con la Mauritian Wildlife Foundation (MWF) per resuscitare il dodo unendo i progressi nel sequenziamento di un antico DNA, nell'editing genetico e nella biologia sintetica. Non solo: Colossal e MWF sperano che la tecnologia sviluppata possa contribuire anche al salvataggio del piccione rosa (Nesoenas mayeri). L'équipe diretta dalla prof. Beth Shapiro ha già completato il sequenziamento del genoma del dodo, confrontandolo con quello degli uccelli dell'Oceano Indiano suoi parenti più stretti: il piccione delle Nicobare, ancora esistente, e il solitario di Rodrigues, estinto da metà ’700. L’obiettivo ora è programmare con il DNA del dodo le cellule di un suo parente vivente, coltivando le cellule germinali primordiali con una tecnica già utilizzata per creare un pollo generato da un’anatra. Il prodotto non sarebbe comunque una copia carbone del dodo, ma una forma ibrida alterata.

Dodo-souvenir - foto di Roberto Copello
Dodo-souvenir - foto di Roberto Copello

IL GHEPPIO DI MAURITIUS

In realtà, un uccello salvato sulla soglia dell’estinzione c’è già. È il gheppio di Mauritius (Falco punctatus, Mauritius kestrel in inglese), un piccolo rapace dalle ali marroni e dal piumaggio bianco a macchie nere, con corte ali appuntite che gli consentono di lanciarsi acrobaticamente fra i rami delle foreste e catturare i gechi di cui si nutre (come il policromo geco diurno di Mauritius, Phelsuma ornata, la cui livrea è maculata di verde, azzurro, giallo, rosso e arancione). Nel 1974 era ritenuto l’uccello più raro del mondo: decimato da deforestazione e DDT, ne sopravvivevano solo quattro esemplari. Per questo il suo salvataggio ha del miracoloso. La riproduzione in cattività è stata spettacolare: negli anni 90 si contavano circa 500 gheppi. Purtroppo gli ultimi vent’anni si è assistito a un nuovo declino, tanto che la specie è ora classificata “in pericolo” nella Lista Rossa IUCN.

Il gheppio di Mauritius - foto J. De Speville per Air Mauritius
Il gheppio di Mauritius - foto J. De Speville per Air Mauritius

Gli ultimi studi stimano la presenza di 200-250 individui adulti nelle foreste a sud di Mauritius, con circa 50 coppie sulle Bambou Mountains a nord della Vallée de Ferney, fra 5 e 8 nella riserva di Bel Ombre, 20 nelle gole rocciose del Black River Gorges National Park (il più esteso e selvaggio dei tre parchi nazionali mauriziani, con 6574 ettari e 60 km di sentieri). È probabile che, con la foresta primaria ridotta al 2 per cento di un tempo, non ci sia spazio per un numero superiore di coppie.

Resta che raramente nel mondo è stata recuperata una specie partendo da numeri così bassi. Per questo nel 2022 il gheppio di Mauritius è stato proclamato uccello nazionale. E il suo ripristino è uno stimolo a lavorare con le specie endemiche in pericolo: l’altrettanto emblematico piccione rosa (salito da 9 individui negli anni 90 a una cifra attuale tra 250 e 1000); il verdissimo parrocchetto di Mauritius (Psittacula eques, salito da 12 esemplari negli anni 80 agli attuali 800), unica specie di parrocchetto ancora esistente delle sei un tempo endemiche delle isole Mascarene; il tessitore di Mauritius (Foudia rubra, 1500 individui), uccellino canoro dal bellissimo cappuccio rosso; l’occhialino olivaceo di Mauritius (Zosterops chloronotos, 350 individui) che per via dei buffi cerchietti bianchi attorno agli occhi sembra portare gli occhiali; il bulbul di Mauritius (Hypsipetes olivaceus, 560 individui); la coracina di Mauritius (Lalage typica, 700 individui).

Il piccione rosa di Mauritius, specie endemica dell'isola - foto di Roberto Copello
Il piccione rosa di Mauritius, specie endemica dell'isola - foto di Roberto Copello

Questi uccelli rari sopravvivono per esempio nella riserva della Vallée de Ferney, nel sud est dell’isola. Con la sua foresta primaria e le sue montagne impervie, è l’habitat che offre maggiori chance di avvistare il gheppio di Mauritius, se non altro perché lungo i suoi percorsi di trekking si trova un sito dove le guide del parco a mezzogiorno alimentano i rapaci. La Vallée de Ferney (al cui interno c’è un centro di riproduzione di grandi tartarughe Aldabra) è anche un luogo simbolo delle lotte ambientaliste: anni fa i cinesi iniziarono a costruire un’autostrada che avrebbe dovuto attraversarla. Le proteste fermarono i lavori e lo scampato pericolo è “raccontato” dai diversi alberi segnati con la vernice rossa per essere abbattuti.

Vallée de Ferney, Mauritius - foto di Roberto Copello
Vallée de Ferney, Mauritius - foto di Roberto Copello

L'IMPEGNO DEI RESORT

La protezione dell'ambiente passa anche dall'impegno dell'industria turistica. Mauritius accoglie circa 100mila visitatori al mese, ma lo sviluppo del turismo, spinto anche dalla crisi del tessile e dello zucchero, non è certo senza effetti su un ambiente già provato dall'aumento del livello del mare (5,6 mm all'anno, quasi il doppio della media globale), dall'erosione dell'11 per cento delle coste, dalla perdita del 70 per cento dei coralli vivi. A ciò si aggiungono fattori come lo sviluppo immobiliare lungo le coste, l'estrazione di sabbia dalle lagune per l'edilizia, l'aumento delle barche in laguna, l'uso massivo di insetticidi nei resort. Finché il disastro della petroliera Wakashio, nel 2020, unito all'emergenza Covid, ha messo in luce drammaticamente anche quanto il turismo dipenda dalla salute dell'ambiente.

Sarà anche per questo che i grandi gruppi alberghieri, specie quelli di proprietà mauriziana, si stanno attivando nell'implementare pratiche e iniziative green. Per esempio, i resort mauriziani di Constance Hotels & Resorts invitano gli ospiti a raccogliere plastiche e rifiuti dalle spiagge, facendone recuperare circa dieci tonnellate all'anno. Sei resort del gruppo hanno avuto la certificazione Green Globe con un punteggio medio del 90% per l'impegno verso la sostenibilità. Sulla costa nord est, il Constance Prince Maurice, collabora con la ong Reef Conservation e aderisce al Mangrove Preservation Programme, per tutelare barriere coralline e zone umide costiere. Inoltre ha realizzato sette alveari nel suo giardino, consentendo alle api di produrre miele, impiegato poi in cucina. Il Constance Belle Mare Plage è invece il primo hotel a Mauritius a ricevere la certificazione Blue Oasis, assegnata dal Mauritius Standards Bureau tenendo conto di cento criteri di sostenibilità. Inoltre il resort, riducendo i suoi sprechi alimentari del 65%, è tra i nove hotel che hanno ottenuto la certificazione “The Pledge on Food Waste”.

L'entroterra di Mauritius, con gli alberi di Flamboyant - foto Ente del Turismo
L'entroterra di Mauritius, con gli alberi di Flamboyant - foto Ente del Turismo

Anche sulla più turistica costa est i principali hotel hanno programmi di sostenibilità. I resort del gruppo Sun Life, come il Sugar Beach e come La Pirogue (che nel 2023 ha vinto per la sezione hotel il Sustainable Tourism Mauritius Award 2023 assegnato dai ministeri del turismo e dell'ambiente), utilizzano solo prodotti locali, impiegano gente del posto, hanno rinunciato alle plastiche monouso. Inoltre numerosi pannelli propongono agli ospiti diverse “Sunlife Sustainability icons”, ovvero personalità esemplari di pratiche green. Anche i tour guidati hanno tutti un focus “eco”.

Lo stesso fa il Sands Suites Resort, che propone nuotate con i delfini nel tratto di mare davanti a Tamarin ma scoraggia la nefasta pratica di attirarli con il cibo. Il gruppo collabora con Green Globe per individuare come ridurre il proprio impatto ecologico (gestione dei rifiuti, riciclo, luci Led, pannelli solari, ecc.) e si è dotato internamente di un Sustainable Management Team. Inoltre per ridurre i rifiuti ha avviato una “strategia delle 5R” (refuse, reduce, reuse, recycle, restore) e i suoi giardinieri non usano prodotti chimici.

Un fiore di Caesalpinia pulcherrima - foto di Roberto Copello
Un fiore di Caesalpinia pulcherrima - foto di Roberto Copello

UN ALBERO A OGNI DECOLLO

Anche la compagnia aerea locale è impegnata nella stessa direzione. Salire a bordo di un aereo Air Mauritius (che dall'autunno 2024 tornerà a operare da Roma con voli diretti) è per tanti turisti il primo contatto con il paese e con la sua anima green. Per questo la compagnia di bandiera si sente investita di una responsabilità particolare, che va al di là dell'aver scelto per emblema uno stilizzato gheppio di Mauritius.

Ecco dunque l’impegno a ridurre le emissioni di carbonio ammodernando la flotta con nuovi aerei come gli Airbus A350-900 e A330-900neo (consumano fino al 25% in meno rispetto alla generazione precedente), riducendo il peso a bordo, usando trattori elettrici per le operazioni di terra. Air Mauritius è attiva anche direttamente nella tutela del patrimonio ambientale dell'isola. In collaborazione con la Mauritian Wildlife Foundation, la compagnia cura la piantagione di mangrovie nel sito Ramsar di Pointe d’Esny. Inoltre, ogni volta che un suo aereo decolla viene piantato un albero endemico, a Mauritius o a Rodrigues: il programma di riforestazione si chiama proprio One Take-off, One Tree e negli ultimi dieci anni ha messo a dimora 75.000 piante native.

Air Mauritius poi si è segnalata anche per aver facilitato il rimpatrio di uccelli e piante in via di estinzione. Per esempio, tre piccioni rosa allevati sull’isola di Jersey. Oppure alcune pianticelle di Cylindrocline lorencei, una asteracea data per estinta nel 1990 ma poi riportata in vita tramite clonazione nei giardini botanici di Brest, in Francia, e di Kew, a Londra. C'è chi ha parlato di prima de-estinzione, ottenuta coltivando in vitro le cellule embrionali di pochissimi semi raccolti nel 1980 e poi congelati. Dopo tentativi falliti, il successo è arrivato nel 2008. Le pianticelle sono state poi trasferite nel Centro di propagazione delle piante native (Native Plant Propagation Centre) di Curepipe, a Mauritius. E da qui, negli ultimissimi anni, alcuni alberelli sono stati reintrodotti nel loro habitat d'origine, nel Parco nazionale delle Black River Gorges. Si spera che il ridotto patrimonio genetico non impedisca che fioriscano e si moltiplichino. Intanto i botanici di Brest lavorano a Curepipe per salvare e far moltiplicare l'ultimo esemplare, ormai novantenne e alto venti metri, di una palma originaria di Mauritius, chiamata Hyophorbe amaricaulis.

Un baniano a Mauritius - foto Roberto Copello
Un baniano a Mauritius - foto Roberto Copello

INFORMAZIONI

Ente del turismo, mymauritius.travel/it
Parchi nazionali di Mauritius, npcs.govmu.org
Aree protette e santuari per animali endemici di Mauritius, pes.govmu.org

Mauritius, la montagna di Le Morne Brabant - foto Ente del Turismo
Mauritius, la montagna di Le Morne Brabant - foto Ente del Turismo