A partecipare a quest'ultima formula, nel mese di dicembre 2020, alcuni dipendenti del Gruppo Credem: dopo un percorso formativo sul tema del viaggio e del racconto di viaggio, a loro è stato chiesto di realizzare un elaborato sul tema "Passione Italia". Come molti ricorderanno, "Passione Italia" è la campagna lanciata a marzo 2020 con la quale il Touring ha voluto contrapporre alla mappa del contagio la mappa della bellezza italiana; un invito per tutti a “viaggiare da casa”, per scoprire e riscoprire ciò che il Paese ha da offrire. In questo contesto abbiamo chiesto anche ai dipendenti di Credem di raccontarci la loro personale "Passione Italia": un luogo, un'esperienza, un momento da ricordare e da suggerire anche ai lettori.
Ecco il contributo di Francesco Massimilla; tutti gli altri li potete trovare a questo link.
Antefatto
La Festa dei Ceri si svolge a Gubbio il 15 maggio di ogni anno e consiste nel trasporto a spalla e in corsa di tre ceri (manufatti di legno) sormontati dalle statue di Sant'Ubaldo (patrono di Gubbio), San Giorgio e Sant'Antonio Abate. Tra i momenti più significativi, l'alzata dei ceri, la "mostra" e la corsa vera e propria, dove ogni cero deve correre il più velocemente possibile, mantenendo la posizione verticale ed evitando le cadute. I tre ceri devono tenere lo stesso ordine per tutta la Corsa; non sono previsti vincitori e vinti. Dal 1973 i Tre Ceri rappresentano il simbolo della Regione Umbria.
LA MIA CORSA DEI CERI
di Francesco Massimilla
Imbocco la statale verso Gubbio molto presto, quando la luce è ancora quella incerta del mattino e il sole non è ancora spuntato dietro ai rilievi dell’Appennino umbro. L’aria è frizzante, anche troppo: se non fosse per il calendario, non si direbbe proprio che sia metà maggio, sembrerebbe piuttosto una mattina di fine inverno.
Man mano che mi avvicino alla cittadina noto che tutte le case – costruite con la tipica pietra a vista – espongono alle finestre i drappi colorati di Sant’Ubaldo, Sant’Antonio e San Giorgio. Il panorama è quello consueto, eppure in questa occasione percepisco uno stato crescente di tensione, come se l’intero paesaggio - la campagna, le case e persino l’austero cementificio ai margini della città - fossero in attesa di qualcosa.
Parcheggio vicino al magnifico anfiteatro romano e mi dirigo a piedi verso il centro, attraversando le caratteristiche viuzze in pietra. È ancora molto presto, ma qui sono già tutti alzati: la giornata è iniziata molto presto a Gubbio, prima ancora che io mi mettessi in cammino, quando i tamburini hanno portato la sveglia ai tre capodieci (i capitani di ogni cero, ndr), che probabilmente non avranno nemmeno dormito. Non incontro quasi nessuno lungo il mio percorso, solo alcuni ragazzini che giocano vicino alla Fontana del Bargello. Sento però distintamente dei rumori di festa in lontananza. In questo momento gli uomini di Gubbio, che da lì a poco saranno chiamati a compiere l’impresa, cercano conforto nei volti delle donne amate, che donano loro un mazzolino di fiori, da esporre fieramente sulle camicie da ceraioli.
Ben presto raggiungo il Palazzo del Podestà, sede del Comune, e prendo possesso della postazione assegnatami. Dalla mia finestra si può godere di un ottimo scorcio di Palazzo dei Consoli, che si erge maestoso con la torre campanaria e la scalinata protesa su Piazza Grande. Sistemo le mie cose, impugno la macchina fotografica e mi metto in attesa.
La Festa dei Ceri a Gubbio, in Umbria - foto Francesco Massimilla
Con il passare del tempo la piazza si riempie di persone, trasformandosi in un tripudio di colori e di voci festose. I due capitani ed il trombettiere fanno il loro ingresso in sella a cavalli bianchi ed anche i tre capodieci guadagnano la scena, ciascuno in testa ai propri ceraioli. La tensione è ora palpabile, la marea umana scalpita, grida ed applaude quando i tre ceri, scesi a spalla dalle scale del Palazzo dei Consoli, vengono issati sulle barelle, pronti per essere alzati.
La Festa dei Ceri a Gubbio, in Umbria - foto Francesco Massimilla
Così, in un rapido crescendo di emozione ed entusiasmo, i capodieci riveriscono con una carezza la statua del proprio santo, salutano i campanari alla sommità della torre, lanciano in aria le anfore e si protendono sulla folla, permettendo ai ceri di alzarsi verso il cielo ed iniziare la corsa che li porterà a compiere tre giri della piazza. Preludio della corsa serale.
La Festa dei Ceri a Gubbio, in Umbria - foto Francesco Massimilla
L’alzata è compiuta. La piazza ora si svuota repentinamente e i ceri sono portati in tre punti distinti della città. Credo che sia questo il momento più bello della festa, poiché – seppur non il più scenografico e spettacolare – è quello in cui si possono vivere i più alti momenti di umanità: gli inchini dei ceri alle persone anziane affacciate alle finestre con gli occhi pieni di lacrime; i consigli impartiti alle nuove generazioni dai ceraioli ormai a riposo; gli abbracci fraterni tra vecchi amici; la spensieratezza dei balli di piazza; l’ebrezza dei brindisi; i baci degli innamorati vestiti con i colori del proprio santo; i discorsi che i padri entusiasti impartiscono ai figli nella speranza di trasmettere loro la stessa devozione per il santo; l’irrequietezza dei giovani ceraioli riportati alla calma dai capoccetta armati di ascia.
Poco prima della sera i ceraioli ricevono dal vescovo la benedizione dedicata a chi è in imminente pericolo di vita e i ceri iniziano la loro corsa di oltre quattro chilometri alla volta della Basilica di Sant’Ubaldo. Il trombettiere suona la carica preannunciando al galoppo il passaggio delle tre pesanti statue lignee, che avanzano incessanti tra urla di incitazione e manifestazioni di fede, percorrono gli stretti vicoli del centro storico, sfiorandone le mura, per poi imboccare gli stretti tornanti che conducono al Monte Igino, lasciandosi alle spalle nuvole di polvere.
La Festa dei Ceri a Gubbio, in Umbria - foto Francesco Massimilla
All’imbrunire, quando i ceraioli rientrano in città, anch’io faccio ritorno a casa, ripensando a quanto vissuto nel corso della giornata. Maturo così la convinzione che la Festa dei ceri, con le sue mille sfaccettature a cavallo tra sacro e profano, sia molto di più di una celebrazione religiosa, o di semplice folklore. Per me è la celebrazione di una città, della sua gente. E, in definitiva, della vita stessa nel suo divenire.