Il 4 ottobre 1883 dalla stazione di Parigi Gare de l’Est partiva l’Orient Express. Diretto a Istanbul, era il primo convoglio a superare i confini nazionali e il primo in Europa con le carrozze letto per farsi cullare dal rollio del treno nelle oltre 80 ore di viaggio. Fu l’inizio di una grande avventura ferroviaria all’insegna del lusso: perché l’Orient Express non era un semplice treno, era un Grand Hotel su binari. Nato negli anni della Belle Époque, diventato mito negli anni Trenta grazie a libri che parlano di assassini e altre avventure, la storia dell’Orient Express è durata quasi un secolo: l’ultimo viaggio Parigi-Istanbul è del maggio 1977. Da quel momento è rimasto il mito, qualche tentativo di emulazione e tanta voglia di percorrere ancora le strade ferrate d’Europa in cerca dell’Oriente. A 140 anni dal primo viaggio abbiamo ripercorso il tragitto dell’Orient Express da Milano, via Parigi, a Istanbul: utilizzando i treni internazionali superstiti che offre l’orario ferroviario continentale. Tremila chilometri, sette giorni, sei treni, quasi 70 ore su rotaia. Tutto a un prezzo contenuto, circa 350 euro compresi cuccette e supplementi. Unico lusso: il tempo.

Ecco i link delle sei puntate:
Prima tratta: Milano-Parigi
Seconda tratta: Parigi-Vienna

Terza tratta: Vienna-Budapest
Quarta tratta: Budapest-Drobeta Turnu Severin
Quinta tratta: Drobeta Turnu Severin-Bucarest
Sesta tratta: Bucarest-Istanbul

Il treno per Budapest è tutto fuorché grandioso. Parte dalla nuova stazione centrale di Vienna, Wien Hauptbahnhof. Che è una di quelle passanti dove tutto quel che avviene accade sottoterra, mentre i treni per tutta l’Austria e l’Europa centrale partono al piano superiore, e quasi non te ne accorgi. Eppure questo ormai è l'hub più importante dell'Europa centrale per quanto riguarda la mobilità ferroviaria. Sarà per la sua posizione geografica centrale, sarà per un retaggio imperiale, ma l'Austria più di altri paesi europei ha continuato a credere nei treni internazionali (specie notturni), dunque da qui giornalmente si arriva fino a Parigi, Milano, Amburgo, ma anche in Polonia, in Romania, in Croazia, in Repubblica Ceca e, ovviamente, nella vicina Ungheria.

La stazione di Wien Hautbanhof - foto di Marco Carlone​

Tanto vicina che il treno su cui viaggiamo questa mattina per la tratta più breve del nostro andare verso Istanbul (più o meno tre ore) è una specie di moderna littorina: tre carrozze azzurrine agganciate a un locomotore che senza scossoni e con poche fermate intermedie, in una domenica estiva dall’aria ferma e fresca, dove sembra non essersi in giro nessuno ma non per dire, in mezz’ora arrivano al confine ungherese. Attraversano una pianura assoluta,  asburgicamente ordinata, con distese di grano e mais che in questa stagione attendono di essere colte, neanche una vacca, neanche una persona: è domenica. Una pianura punteggiata di pale eoliche a guardia del confine e rari paesi. Sopra scarse nubi nel vasto cielo sereno, immobili, quasi ancorate alla loro ombra.

L’Austria dura davvero poco, neanche il tempo di rendersene conto e si è nella prima di queste stazioni ungheresi dai nomi lunghissimi e impronunciabili: Hegyeshalom. Ma poco cambia, a parte il capotreno. Il paesaggio è altrettanto piatto e monotono, ma più che vederlo spesso lo intuisci perché lungo la linea alla moda russa sono piantati due file di alberi – pioppi, carpini, tigli – che servono a tagliare il vento, specie in inverno. Ma essendo eredità dell’epoca socialista come molte cose l’incuria risolve il problema: tutta bucherellata, la barriera verde è a macchie. E allora di sfuggita vedi questa ininterrotta distesa di campi verdi, gialli, alle volte addirittura rossi: distese coltivate fino a dove arriva lo sguardo, per tutta la pianura pannonica e ancora oltre, fino all’Ucraina. Solo a Komàron per qualche minuto sfiori l’ampia fiumana color ocra del Danubio, che molle e maestoso attraversa l’Europa e qui segna il confine con la Slovacchia. Ma è giusto un istante. Il tempo di accorgersene, veder le chiatte ancorate, le gru di un malconcio scalo merci sull’alto lato del fiume, la stazione male in arnese.

E poi nuovamente riprende il monotono paesaggio agricolo della puszta, il terreno nudo dei bassopiani magiari. Una pianura così piana, liescia che capisci quando dicono che l'essenza della pianura è l'assenza d'altezza. Così l'unica cosa che emerge sono delle bolle di metallo rilucente simili a palloni areostatici cui è impedito di volare: piantate a terra come spilli su una carta geografica, sono le torri degli acquedotti dei paesi che incontriamo lungo la linea. Ravvivano il paesaggio e servono a dar pressione all’acqua che andrà nelle case, il resto è piatto, case basse e isolate, qualche silos per il grano, cielo lattiginoso mosso da rondini in perenne volo acrobatico, desolazione estiva. Per veder qualcosa in più di questa Ungheria bisognerebbe prendere il treno locale che segue il corso del Danubio verso Esztergom, che con la sua immensa cattedrale di Nostra Signora domina la riva destra del fiume. Ma seguire la rotta del vecchio Orient Express è sempre un compromesso tra l’orario ferroviario, la velocità relativa dei convogli e il paesaggio, e non sempre le cose si incastrano come si vorrebbe. A meno di non volerci mettere due settimane, invece dei sei giorni necessari per andare da Parigi a Istanbul vedendo anche qualcosa lungo il percorso.

Cambio personale al confine ungherese - foto di Marco Carlone​

In questo deserto domenicale c’è silenzio anche a bordo dell’Inter City 416 da Vienna. Un silenzio rotto solo dal sibilo dell’aria condizionata, che su questi treni moderni non è neanche più cigolante. Meno male che il giallo dei girasoli sparge sul paesaggio un’idea d’estate e lo ravviva. E meno male che c’è un bambino che piange, e una signora austriaca che non la finisce di lamentarsi con il rubizzo capotreno per la mancanza della prima classe, per cui lei ha pagato il biglietto, per il resto silenzio tombale. Ci sono due ragazzi francesi, due backpackers eleganti, che sembrano usciti da una scuola d’elite con i loro calzonicini corti, le camicie a maniche corte, i capelli ordinati: giocano tre partite a scacchi, con tanto di orologio per calcolare i tempi. Ma anche loro stanno zitti, non scambiano una parola, e quando finiscono ripongono tutto nello zaino e si calano le cuffie sulle orecchie. E allora pace, Budapest Keleti arriva rapida, annunciata dalle prime case della capitale, dallo stadio del Ferencvaros, dai tram gialli, e infine dalla grande volta di ferro costruita a fine Ottocento. Tre ore e sei finalmente nell’Est Europa.

La stazione di Budapest Keleti - foto di Marco Carlone​

Ma forse dire che questo posto, che Budapest, è Est è ormai un anacronismo da Guerra Fredda. Sarà la stazione neorinascimentale costruita a fine Ottocento, sarà la foggia dei palazzi, sarà la grandiosità dell'Hotel Continental dove alloggiamo: con la sua facciata Art Decò che sembra l’ingresso di una banca e invece è un vecchio stabilimento termale – il Bagno Hungaria – che per qualche decennio in epoca socialista è stato anche il Bányász Színház, il teatro dei minatori, poi ribatezzato Honved, dei militari e poi diventato Fővárosi Nagy Varieté, il Grande Varietà della Capitale. Perché oggi ci fermiamo qui, a un passo dal quartiere ebraico per respirare ancora quell’aria di MittelEuropa che Budapest promette, perché basta una sosta in una pasticceria, o alle terme, un giro tra i palazzi di Buda, sull’altro lato del Danubio, per smentire chi sostiene che l’Europa Orientale inizia appena oltre Vienna. Del resto uno dei piaceri semplici che Budapest offre è la possibilità di contemplare i suoi palazzi di fine Ottocento e inizio Novecento in vario stato di conservazione che si affacciano su vie ordinate e tranquille, specie ora che è domenica.

Sembra esserci movimento solo nel quartiere ebraico, dove la gentrificazione pare arrivata più che altrove in città, tra bar e negozi che potrebbe essere anche a Copenhagen. Meno male che almeno resiste una manciata di ristoranti kosher, accanto a sinagoghe e librerie. Si chiamano Tel Aviv e Carmen, fanno cucina israelo-mediterranea – falafel, insalate, la shakshuka degli ebrei marocchini – più che la vecchia cucina ebraica del Centro Europa, ma almeno quella a Copenhagen non ci dovrebbe essere. Per capirci qualcosa di più di questa Budapest per secoli cosmopolita andiamo al Museo etnografico che ha aperto nel maggio del 2022, e vale la pena di esser visto anche se uno non ha interesse alcuno verso l’etnografia. Perché è una costruzione ben particolare, come se fossero due piccole colline – o due trampolini per chi fa skatebord – coperte da un enorme giardino pensile, costruire all’interno del parco Liget, il più grande di tutta la città, che il presidente Orban ha deciso di rinnovare completamente, forse per lasciare una traccia ben visibile del suo passaggio nelle cose, oltre che nelle coscienze degli ungheresi. Con questo museo che racconta un millennio di storia degli ungheresi sembra esserci riuscito. Anche perché uno si aspetta una grancassa nazionalistica di quanto l’Ungheria sia stata grande nei secoli, ma vessata dalla storia, e invece trova una esposizione di oggetti “nazionalistica” ma non troppo. Perché non raccoglie solo materiale etnografico da ogni angolo del Paese, ma anche dal resto del mondo. Così colpisce la parete dove si trovano dozzine di fotografie che riproducono volti di persone di ogni paese, come fosse una galleria della diversità che c’è ovunque, anche in Ungheria. O la collezione di ceramiche che in genere appassionano solo le dame che alle cinque prendono il tè, ma è allestita in modo da fornire un colpo d’occhio notevole. E poi c’è un’ala dove è stata allestita una mostra dedicata alla comunità e alla cultura zingara, che in Ungheria è ben presente. Anche se qui, come ovunque in Europa, c’è tutto fuorché integrazione, queste stanze sembrano voler rendere giustizia alla loro cultura.

Budapest, Museo etnografico- foto di Marco Carlone​

Quando sei in Ungheria fai come gli ungheresi: vai alle terme. Che è una cosa che sanno tutti i turisti, che infatti escono dagli hotel con le ciabatte e l’asciugamano per affollare quelle più fotogeniche, segnate su tutte le guide: le immense Széchenyi con le piscine all’aperto e le fastose Gellért all’interno di un albergo di inizio Novecento. Noi andiamo alle terme Lukács, che sono anche le preferite della signora che ci ha fatto da guida al museo etnografico, ma sospetto che abbia detto così per farci un piacere, perché poco dopo ha detto di frequentare quelle del suo quartiere, che è dall’altro lato della città. Poco male, le terme Lukács sono dall’altro lato del Danubio, a Buda, a un passo dal fiume. Se ti limiti a guardarle da fuori vedi un palazzo ottocentesco sui toni del giallo che di sicuro ha vissuto momenti migliori, almeno 40 anni fa. Sbrecciato, cadente sul lato che si affaccia verso il Danubio, sembrerebbe in parte chiuso, ma basta entrare oltre le mura di cinta del giardino per trovare un’aria da sanatorio alpino, non fosse per i trenta gradi umidi. In giro anziani con il sacchetto di plastica, giovani vestiti all’ultima moda, un manipolo di adolescenti americani in gita d’istruzione che sembrano fuori posto come un albero di Natale ad agosto.

Budapest, terme Lukács - foto di Marco Carlone​

Dentro le terme sono come ci si aspetta che siano delle terme: non digitalizzate, vecchie. Con dei piccoli box in legno dove prendere i biglietti, gli spogliatoi altrettanto in legno dove cambiarsi senza vergogna, e poi un labirinto di scale, stanzoni, ballatoi che si affacciano sulle piscine all’aperto chiuse nei cortili del palazzo, tra un bar e uno spazio per i massaggi. C’è quella in cui si nuota e basta, e quella in cui ci si rilassa tra vortici d’acqua e idromassaggio. Ma quando dici relax la ragazza che ci accompagna ci guarda male: sono terme curative, bere l’acqua fa bene allo stomaco, stare immersi ringiovanisce la pelle. Bagnarsi per almeno tre settimane di fila seguendo le prescrizioni del medico – la struttura è anche una piccola casa di cura – ha un numero enorme di benefici che neanche si mette a elencarci perché non ha le parole per farlo e forse noi non potremmo neanche capire. Chiaramente ci sono anche saune a 45 gradi, bagni turchi ricavati in quelle che sembrerebbero cantine, stanzoni enormi che diventano sudari dove si chiacchiera.

Perché l’impressione è che tutti siano qui per passare qualche ora a rilassarsi, impressione confermata specie quando sali sul tetto, che è un solarium con le sdraio su cui arrostiscono turisti, mentre gli anziani giocano a carte nell’unico spazio all’ombra, coppie si scambiano effusioni accanto a vecchiette addormentate con il naso nei loro volumi. E così viene da pensare che sì, una sosta a Budapest a prender le acque come fanno gli ungheresi sia necessaria e rigenerante in prospettiva del lungo viaggio che ci aspetta domani, quando per davvero andremo verso Est, verso la Romania.

La stazione di Budapest Nyugati - foto di Marco Carlone​

INFORMAZIONI

Il viaggio con i treni ordinari sulla rotta dell'Orient Express oggi si può compiere facilmente acquistando un Pass Interrail, valido in 33 Paesi europei, Turchia compresa. Si possono scegliere pass di durata variabile, che comprendono un numero fisso di giorni di viaggio da sfruttare nell'arco di uno o due mesi. Per compiere questo viaggio l'ideale è il Pass 7 giorni nell'arco di un mese e costa 264 euro. Cui bisogna aggiungere gli eventuali supplementi per la prenotazione qualora si viaggia con l'alta velocità (in Francia 20 euro a tratta), con alcuni InterCity, oppure con i pochi treni notturni che ancora viaggiano sulla rete europea. Il supplemento da Vienna a Budapest costa 8 euro. Quasi tutte le prenotazioni e il biglietto sono gestite con un App di facile utilizzo. Tutte le informazioni su InterRail

Per organizzare una sosta a Budapest si può consultare il sito dell'Ente del Turismo ungherese. L'Hotel Continental si trova poco distante dalla stazione di Keleti (Dohàny u 42-44), da dove arrivano e partono i treni per l'Austria e la Romania (continentalhotelbudapest.com). Il Museo etnografico si trova in Dózsa György út 35 (neprajz.hu). Le terme Luckas sono nella parte di Buda, oltre il Danubio rispetto alla stazione, l'ingresso costa 6.000 florint, circa 15 euro. Per muoversi c'è una efficiente rete di tram e metropolitane, un biglietto giornaliero costa 1.650 florint, circa 5 euro.