Il signore che sta parlando indossa una giaccia grigia almeno di una taglia troppo grande sopra un pantalone floscio. Sotto la giacca ha una cravatta rossa che c’entra poco con la camicia azzurra, in testa un cappellino da baseball blu con il logo di Walmart. Dalla camicia penzola un cartellino con il nome, Sam. Sam Walton, fondatore di Walmart, la più grande catena di supermercati del mondo: a fine 2023, 10.623 negozi in 24 Paesi. Walton parla da uno schermo verticale; sollecitato, risponde con apparente naturalezza a domande sulla sua vita: ma è un ologramma. Walton è morto nel 1992, ma per una parte dei suoi oltre due milioni di dipendenti è ancora vivo. E questo è il suo museo, il museo di Walmart.

La facciata del WalMart Museum nel centro di Bentonville, Arkansas.
La facciata del WalMart Museum nel centro di Bentonville, Arkansas

Qui nacque Walmart

Si trova a Bentonville, nel Nord Ovest dell’Arkansas, pieno cuore d’America, al confine tra Missouri e Oklahoma. Trentacinquemila abitanti in aumento da anni, una piazza quadrata con un piccolo giardino alberato in mezzo, qualche palazzo storico vecchio un secolo – su cui insiste la banca, una specie di albergo che assomiglia a un saloon, una chiesa di mattoni –, una distesa di villette graziose, alcune in legno, altre in mattoni rossi, tutte con il giardino ben tenuto. E poi numerose ciclabili, strade larghe, tanti capannoni indistinguibili uno dall’altro, altrettanti drive trough: catene di ristoranti – KFC, Burger King, Lousiana Kitchen – negozi di tabacco e liquori, e poi farmacie, negozi per animali, perfino sportelli bancomat che si susseguono lungo la Intestate 62. Il palazzo più alto della città ha sei piani, più in alto ancora svetta solo la torre dell’acqua, tozza e bianca. Insomma, una cittadina media americana come tante. E c’è da scommetterci che in tutte ci sia un supermercato Walmart, del resto in tutti gli Stati Uniti sono oltre cinquemila

Però Walmart è nato proprio qui, nel Nord Ovest dell’Arkansas, il 9 maggio 1950. Il giorno in cui Sam Walton ha aperto il Walton's Five and Dime, il primo di una serie di empori a prezzo conveniente, progenitore di Walmart, il cui nome ha iniziato a essere usato solo nel 1962, quando è stato aperto un altro negozio a Rogers, una cittadina distante qualche decina di miglia. I grandi empori esistevano già in tutta America, ma Walton ha avuto una intuizione innovativa: smettere di far servire i clienti dal commesso al banco e mettere tutto a scaffale, inaugurando così l’era del self-service, con le persone libere di girare comode e prendersi quel che vogliono.

Nato nel 1918 in Oklahoma, Sam Walton, era un predestinato, forse – almeno a sentire la sua agiografia – di certo uno che incarna l’American Dream. I suoi erano “variety store”, negozi in cui si vendeva ogni tipo di merce a un prezzo basso, che è stato il mantra di tutta la sua vita “rendere tutto accessibile a tutti”. Il museo per ora è ospitato in una sede temporanea in attesa che finisca l’allestimento nei locali sulla piazza principale, al 105 N. Main Stree dove aprì il primo Five and Dime. Dentro lavorano dipendenti che descrivono Walmart con quell’entusiasmo eccessivo e magniloquente tipico degli americani. Ognuno di loro ha il suo aneddoto sulla volta in cui ha incontrato Sam, «uno dalla battuta facile, sempre rimasto modesto», «uno che mangiava in mensa, visitava tutti i negozi che riusciva», parlava con i clienti che “sono il nostro unico padrone” e “hanno sempre ragione”, come recitano gli slogan motivazionali dipinti sulle pareti. Un vero hardworker: lavorava duro e lavorava sempre. E non ha mai voluto abbandonare Bentonville, che ancora oggi è il quartier generale dell’azienda diventata nel frattempo una multinazionale con 2,2 milioni dipendenti e 650 miliardi di dollari di fatturato.

Una parte del centro di Bentoville.
Una parte del centro di Bentoville

L'alta qualità della vita degli Ozarks

Ma certo, uno non parte dall’Italia per andare a Bentonville (se per questo, difficilmente uno parte dall’Italia per andare in Arkansas, a meno di non aver già visto buona parte degli Stati Uniti). Eppure se passa per la zona centrale del Paese, diretto magari in Lousiana, o a Kansas City, Bentonville è una sosta interessante e inaspettata, come tutti gli Ozarks, la zona di basse montagne tra qui e il confine di Stato, verso Ovest. Gli Ozarks sono le uniche montagne, che poi più che altro sono colline arrotondate coperte di boschi, tra gli Appalachi sulla costa Est e le grandi cime delle Rocky Mountains, a Ovest. Oltre, da un lato e dall’altro, centinaia di chilometri di pianure. Tutta questa zona Nord Ovest dell’Arkansas è in prevalenza rurale, la chiamano “the protein belt”, la fascia delle proteine perché è punteggiata di immensi allevamenti di polli e tacchini. Ma si vive, o almeno così te la raccontano, come un’unica grande area connessa, una specie di città diffusa di 500mila abitanti con tanto spazio e tanti piccoli centri che fanno rete.

Posti come Rogers – 70mila abitanti –, che era poco più di uno scalo ferroviario sulla linea verso San Francisco, o Fayetteville, cittadina di 80mila la cui vita che ruota intorno all’Università dell’Arkansas e ai suoi 33mila studenti. Famosa, si fa per dire, perché qui insegnò e qui si sposò un giovane Bill Clinton, la cui casa nuziale – una villetta con due stanze da letto e un piccolo giardino al limitare del campus – è una delle attrazioni assieme alla nuova biblioteca universitaria, un farmer’s market tra i più antichi d’America (risale ai magnifici anni Sessanta e la quantità di hippie dai capelli bianchi lo certifica) e una grande ciclabile che costeggia la ferrovia.

La mappa degli Ozarks, la zona Nord Ovest dell'Arkansas - foto Shutterstock
La mappa degli Ozarks, la zona Nord Ovest dell'Arkansas - foto Shutterstock

Tutte cose che fanno intuire come da queste parti sia in atto una specie di cambiamento antropologico del modello americano: il trasferimento di tante famiglie e tanti giovani dalle grandi aree urbane verso centri piccoli, dove la vita costa molto meno ed è più a misura d’uomo, anche se potrebbe sembrare una contraddizione visto le dimensioni (immense) di ogni cosa. Giovani che in zona trovano molto lavoro – tre aziende tra le prime cento al mondo secondo Fortune hanno sede in questo spicchio dello Stato – e un’alta qualità della vita. «Qui ormai c’è tutto o quasi quello che c’è in una vera città, ma c’è quello che in una città non ci potrà mai essere: un atmosfera di paese e la natura fuori dalla porta» racconta Alison Nation, che si è trasferita a Bentonville da 20 anni. Di formazione storica dell’arte, lei ci è arrivata per lavorare al Crystal Bridges Museum of American Art

Il Crystal Bridges, un museo inaspettato

Un museo grande, ricco di opere importanti, architettonicamente interessante (opera di Moshe Safdie) e del tutto inaspettato per essere in un angolo remoto dell’Arkansas, che di per sé è già remoto, pur stando nel centro degli Stati Uniti. Un posto che deve la sua fortuna a Walmart, non perché Sam Walton fosse un magnate illuminato, tutt’altro. Ma perché è stato aperto da sua figlia, Alice Walton, nel 2011, quasi vent’anni dopo che il padre era morto. Ospita una collezione di arte americana pensata con una filosofia che illumina bene il cambiamento che sta attraversando il Nord Ovest Arkansas: mette in mostra la pluralità delle culture che compongono da sempre gli Stati Uniti.

Il Crystal Bridges Museum of American Art visto dall'alto - foto Crystal Bridges Museum of American Art
Il Crystal Bridges Museum of American Art visto dall'alto - foto Crystal Bridges Museum of American Art

«La narrazione tradizionale dei musei americani racconta l’epopea dell’uomo bianco europeo e sottostima il ruolo che hanno sempre avuto i nativi, gli schiavi e gli altri immigrati. E tende a semplificare la complessità di razze e classi di questo Paese» spiega l'addetta alle relazioni esterne del museo. Per raccontare tutto questo, l’allestimento e la sua logica, quasi più delle opere stesse, sono il vero cuore del museo. Accanto una all’altra trovi tele ottocentesche che rappresentano un George Washington uguale a quello che trovi sulle banconote da un dollaro, accanto a una dama di colore dai vestiti sgargianti in posa con il suo vestito a fiori assai barocco. Quadri con la vita dei coloni europei che potrebbero benissimo essere in Francia per come sono rappresentati, accanto a scene di vita cruda e povera dei nativi americani. Tutto è stato allestito per far riflettere su come anche l’arte si sia piegata alle strutture di potere vigenti rappresentando in modi diversi gli europei e gli altri, i dominatori e i dominati. E poi c’è una gallerie di ritratti anonimi per far vedere come il canone classico di bellezza non fosse lo stesso per le varie comunità, ma come alla fine solo uno – quello bianco e anglosassone – sia emerso. Il tutto senza stigmatizzare, o rimuovere, ma contestualizzando, spiegando, invitando a riflettere.

L’attenzione alle diversità al Crystal Bridges Museum of American Art è in tutto: le didascalie sono bilingue – inglese e spagnolo – anche se in zona la comunità ispanica è piccola. «Ma è stata una richiesta della comunità, gli anziani immigrati decenni fa non parlano bene inglese e non avrebbero capito», spiegano. Peccato che nelle sale un giorno qualunque della settimana girino per lo più tanti anziani bianchi e altrettante scolaresche altrettanto poco miste. Ma l’importante è seminare bene, poi qualcosa crescerà.

Il Crystal Bridges Museum of American Art - foto Crystal Bridges Museum of American Art
Il Crystal Bridges Museum of American Art - foto Crystal Bridges Museum of American Art

Quel che stupisce, è che un museo così diverso, immerso in un grande parco, circondato di laghetti e totalmente gratuito, sia stato finanziato con i profitti sterminati della catena di supermercati che praticamente ucciso il piccolo commercio negli Stati Uniti. Una contraddizione molto americana, che rimanda a quelle del capitalismo. Ma che poi trova una sua strana sintesi nell’attenzione che la stessa Walmart pone anche indirettamente con questo museo nello sviluppo della sua comunità. Che per esempio gode della seconda sezione del museo, the Momentary, uno spazio gigantesco dedicato all’arte contemporanea ricavato da una vecchia fabbrica di formaggio.

Aperto dal 2020, è diventato soprattutto uno spazio per concerti, con una grande sala al chiuso e uno spazio all’aperto, su un grande prato. Ospita musica di tutti i generi, artisti di fama che in questo angolo degli Stati Uniti prima non sarebbero mai venuti. Non distante un ex magazzino è stato trasformato in un lungo hub per ristoranti di ottimo livello, di quelli che ti aspetti di trovare in una grande città per ricercatezza e ambiente, che fanno capire che anche qui il mangiare fuori è diventato una esperienza culturale e di moda. Oltre a una fitta rete di ciclabili: la principale parte dal centro e arriva fino a Fayetteville, 40 miglia più a nord, attraversando per lo più parchi.

L'esterno del Momentary, centro espositivo ricavato da una ex fabbrica di formaggio
L'esterno del Momentary, centro espositivo ricavato da una ex fabbrica di formaggio

Ma in città c’è anche un nuovo albergo, il 21Museum hotel, che è anche una galleria d’arte aperta da un magnate del Bourbon, e un palazzo di uffici che si vanta di essere il primo palazzo ciclabile del mondo (nel senso che pedalando, senza smontare dalla sella, arrivi fin sul tetto), oltre una serie di murales e di opere di land art in continua crescita che si vedono unendosi a un Oz art tour. Una progetto artistico che “punta a portare l’arte fuori dai musei, per permettere a tutti di vederla e viverla, specie a quelli che non ci entrerebbero mai», spiega Carlyn Wilder che in città è arrivata da pochi mesi. «Sono venuta perché mi attraeva quel mix di natura e vita urbana di qualità che altrove non c’è. Tutto qui è così vibrante», dice. Vibrante, come si dice di quei posti che stanno vivendo un periodo di particolare effervescenza economica e culturale. Crescita che ancora una volta si deve a Walmart, che sta riorganizzando il suo quartier generale per ora sparpagliato su una grande superficie, creando un immenso campus verde dove aggregare tutti i dipendenti, circa 20mila persone.

La piazza centrale di Bentonville, Arkansas - foto Shutterstock
La piazza centrale di Bentonville, Arkansas - foto Shutterstock

Un salto al supermercato

Non si può certo andare via da Bentoville senza visitare un supermercato Walmart. Ce ne sono per tutti i gusti: dal Convenience Store aperto 24 ore al giorno, al neighborhood shop – il negozio di quartiere –,  da quello annesso alla pompa di benzina, poco più di un negozietto, a quello di taglia normale, grande come uno dei più grandi in Italia. Ed essendo Bentoville la città dove tutto è nato qui c’è anche il Walmart 100, il supermercato modello, usato da anni come centro sperimentale: nel senso che ogni innovazione, che venga implementata o meno, viene prima testata qui.

Così mentre ci si aggira per le corsie immense, sormontate da bandiere a stelle e strisce e dell’Arkanas, capita di essere circondati da addetti con la pettorina blu e spallette di merito appuntate al petto, come veterani nella guerra all’ultimo sconto. Blocco per appunti in mano e sguardo indagatore, sono gli addetti dei Walmart in gita di istruzione che osservano gli scaffali e il comportamenti dei clienti. Che si aggirano tra ogni cosa un uomo possa necessitare (o più spesso non necessita ma compra lo stesso), dalle gomme della macchina a una fornitura vitalizia di spazzolini da denti, dai fucili alle palline da golf. Oltre ovviamente a qualsiasi prodotto alimentare – tonnellate di salse barbecue, variazioni impensabili di farcite di biscotti Oreo, metri lineari di tacos, dozzine di tipi di pasta in lattina – tutto purché in dimensioni enormi, provviste necessarie per affrontare la prossima grande carestia. Quella di cui forse aveva paura Sam Walton, che comunque la si possa pensare – interprete del sogno americano, o distruttore di comunità al soldo del capitalismo – è il vero eroe di questa zona centrale d’America. Uno spicchio, il Nord Ovest dell'Arkansas assai interessante per assaggiare un po’ di quegli Stati Uniti rurali che compongono il grande e sfaccettato mosaico del Paese. Racconta ancora, Sam.

L'idea di WalMart è nata a Bentonville, Arkansas, negli anni Cinquanta
L'idea di WalMart è nata a Bentonville, Arkansas, negli anni Cinquanta