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Buona è buona, la pizza napoletana. Non c’è nulla da dire. Sarà per il cordone alto e soffice che si accoppia alle pasta interna non troppo bassa ma mai davvero alta. E poi la mozzarella, quella vera, e non quel formaggio grossolano e bianco che usano altrove. E la qualità della salsa di pomodoro con l’aggiunta di una fogliolina di basilico, anche quella è notevole. Insomma, la pizza napoletana è davvero un’altra cosa: è forse la vera pizza italiana. Anche se ovviamente ovunque avranno da ridire anche su questa affermazione, del resto siamo il Paese delle identità plurali.
Anche per stabilire una volta per tutte la primogenitura della pizza, la commissione nazionale Unesco ha deciso di candidare la pizza napoletana al titolo di Patrimonio culturale immateriale Unesco. E, notizia di oggi, ce l'ha fatta: il Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Unesco, riunito in sessione sull'isola di Jeju, in Corea del Sud, ha valutato positivamente la candidatura italiana. Il dossier di candidatura parlava di “arte dei pizzaiuoli napoletani” e la nomina dice proprio così: l’arte dei pizzaiuoli, alla De Filippo. Un modo per riaffermare l’importanza del made in Italy alimentare - come ha ricordato il ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina - e per ricordare agli americani che no, la pizza non l’hanno inventata loro.
Per l'Unesco, si legge nella decisione finale, "il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l'impasto della pizza, esibirsi e condividere, è un indiscutibile patrimonio culturale".
IL PATRIMONIO IMMATERIALE UNESCO
Ma cosa sono i Patrimoni culturali immateriali tutelati dall’Unesco? La lista è stata introdotta nel 2008 per riconoscere che il concetto di Patrimonio culturale nel tempo è cambiato e non si limita a monumenti o collezioni di oggetti, ma include anche le tradizioni e le espressioni vive della cultura ereditate dai nostri antenati e destinate a essere passate ai nostri figli. La definizione Unesco specifica le tradizioni orali, le pratiche sociali, le arti performative, le feste rituali, le conoscenze riguardo la natura e l’arte di produrre manufatti. A questo punto fare la vera pizza napoletana è paragonato a un’arte.
A oggi nella lista dei 348 patrimoni immateriali (dato aggiornato a prima della sessione coreana) c’è di tutto: dal tango argentino all’opera tibetana, dal Carnevale di Mòhacs in Ungheria alle danze folkloriche della Mongolia, il Biyelgee. Passando per la tradizione artigianale dei tappeti azeri, la danza dei coltelli peruviana e il fado portoghese. Quelli italiani già riconosciuti sono sette: la coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria; l’arte artigiana di produrre i violini a Cremona; l’opera dei pupi siciliani; la tradizione delle macchine a spalla utilizzate nelle processioni di Palmi, Sassari, Viterbo e Nola; il canto a tenore sardo; la dieta mediterranea, che è condivisione con altri Paesi dell’area, dalla Spagna alla Grecia; e l'arte della falconeria, anche'essa in condivisione.
La pizza non è la prima pietanza a entrare nella lista. Nel 2014 è stato infatti inserito il Lavash, il pane tradizionale che è parte integrante della cultura armena. Mentre nel 2012 l’onore era toccato al kimchi, il piccantissimo cavolo fermentato che costituisce la base della cucina della Repubblica di Corea. A noi senz'altro piace più la pizza...
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