TORINO, LE STORIE DEL NOVECENTO
Perché il ciclismo, con l’ago delle biciclette e il filo delle strade, sa cucire insieme tante storie, quella con la S maiuscola e quelle minime, private, della gente comune. Nella Torino che saluta la partenza del Giro c’è un luogo che si è dato come missione quella di dipanare la matassa delle storie, e della storia del Novecento in particolare. È il Polo del ‘900 (www.polodel900.it), il più grande centro culturale dedicato alla storia del XX secolo, 8000 mq di musei, biblioteche e archivi, sale espositive e cinematografiche aperti alla cittadinanza e crocevia di attività ed esperienze 22 associazioni culturali del territorio. Con un ricco calendario annuale di iniziative ed eventi, negli scenografici spazi recuperati e rifunzionalizzati degli ex Quartieri militari, i settecenteschi palazzi juvarriani di San Celso e San Daniele, dal 2016 il Polo del ‘900 si apre alla cittadinanza e mette in circolazione idee e progetti sui grandi temi della contemporaneità, mettendo in connessione memoria e presente.
Il Polo del '900 a Torino - foto Muraro
Quest’anno nell’ambito della programmazione culturale del 2021, incentrata sul tema Dove portano i Venti. Crisi, transizioni, opportunità del nuovo decennio, il Polo del ‘900, in collaborazione con l’Unione Culturale Franco Antonicelli, una delle tante associazioni che opera all’interno della rete del Polo, propone il progetto Sfide sconfinate. Lo sport che cambia il mondo. «Quest’anno ci è piaciuta l’idea di mettere al centro lo sport della nostra indagine tra memoria e contemporaneità – racconta il direttore del Polo del ‘900, Alessandro Bollo – . Lo sport, con i suoi eventi, ha scandito tappe importanti della storia del Novecento e attraverso la sua narrazione abbiamo tentato di descrivere i cambiamenti sociali ed economici di un paese. Lo sport, e la sua narrazione, è ancora oggi un prisma molto interessante per leggere i fenomeni legati all’attualità. Nell’arco dell’anno, in collaborazione con università, case editrici e testate giornalistiche, abbiamo programmato incontri e confronti di idee che mettono in correlazione lo sport con il tema dei diritti, con quello della tecnologia, con la politica. Abbiamo associato alle ricorrenze del calendario civile, come il Giorno della Memoria o il 25 Aprile, narrazioni di memorie sportive, e così pure faremo in occasione delle grandi manifestazioni internazionali di sport che avverranno lungo la stagione, dagli Europei di calcio alle Olimpiadi a Tokyo. Le iniziative del Polo faranno da cornice anche agli appuntamenti sportivi che hanno luogo a Torino, proprio dalla partenza del Giro d’Italia, fino alle fasi finali, nel prossimo autunno, delle ATP Finals di tennis. Daremo anche spazio alla trattazione di un fenomeno sempre più diffuso, come quello degli E-Sport. Insomma, abbiamo voluto avvicinarci quest’anno alle numerose declinazioni della passione sportiva proprio in virtù del fatto che, nello sport, e nella ritualizzazione degli eventi sportivi, l’essere umano mette alla prova la propria capacità di “vincere la resistenza delle cose”, a partire da un confronto, quasi un corpo a corpo, con se stessi».
Alessandro Bollo conferma la centralità dell’importanza della bicicletta, come elemento di indagine dei cambiamenti della storia sociale contemporanea: «Oltre alla sua lunga storia tecnica e sociale nel corso del Novecento, la bicicletta ritorna oggi come oggetto storico di riflessione. Non è solo una moda, ma è un punto focale di ogni progetto di sostenibilità ambientale. Ancora di più in queste recenti stagioni condizionate dalla pandemia, in cui la bicicletta ha assunto un ruolo da protagonista negli scenari urbani, attraverso la presenza sempre più diffusa del fenomeno dei riders. A conferma di quanto la bicicletta, che ha già a lungo abitato l’immaginario sociale, letterario, cinematografico del Novecento, continui a essere un oggetto di grande e complesso valore di indagine storica e sociale contemporanea».
Proprio in relazione al fatto che quest’anno il Giro d’Italia prende le mosse da Torino, in collaborazione con il Museo del ciclismo del Ghisallo e con il Museo ACdB di Alessandria, il Polo del ‘900 ha dato vita a un incontro con Franco Balmamion, l’ultimo torinese vincitore di un Giro d’Italia.
TORINO, IL BELLO DEL CINEMA
A proposito di immaginario cinematografico, del Novecento e no, come non ricordare di quante biciclette entrano e passano nella storia del cinema. Una storia del cinema che, almeno per l’Italia, prende le mosse poco più di un secolo fa proprio da Torino. Per questo abbiamo incontrato Vittorio Sclaverani, da undici anni presidente dell’Associazione Nazionale Museo del Cinema (http://amnc.it/).
«L’Associazione Nazionale Museo del Cinema – dice Sclaverani – nasce nel 1953 e può essere considerata il punto di origine del Museo del Cinema. L’Associazione affianca le attività del Museo che da oltre vent’anni è ospitato alla Mole Antonelliana, tra cui anche l’organizzazione di celebri rassegne, come il Torino Film Festival, in occasione il quale l’Associazione assegna un premio speciale intitolato alla sua fondatrice, Anna Maria Prolo. Ma sviluppa anche in maniera autonoma progetti culturali dedicati all’inclusione sociale, alla memoria storica del territorio e alla valorizzazione del nuovo cinema, in particolare in contesti di periferie urbane o della provincia, in cui, ormai da alcuni anni, sono venute a mancare le sale cinematografiche». A Vittorio Sclaverani piace il ciclismo, fin da quando suo padre lo portava a vedere passare il Giro da Torino o nelle tappe piemontesi: «Il ricordo più forte però è legato all’arrivo di una tappa del Tour del 1992, che però si concludeva al Sestriere. Avevo undici anni quando vidi Claudio Chiappucci arrivare primo e al termine di un’incredibile cavalcata solitaria». Ciclismo e cinema si saldano nei suoi ricordi in altre immagini che ha voluto ricordare: «Un film per me straordinario è Totò al Giro d’Italia, di Mario Mattoli, del 1948. Più recente, ma altrettanto significativo per aver saputo cogliere l’essenza mitografica del ciclismo di un tempo è Appuntamento a Belleville, un film di animazione di circa vent’anni fa, di Sylvain Chomet, in cui il protagonista è chiaramente ispirato nella sua allampanata fisiognomica a Fausto Coppi. Infine per far riferimento a un mondo globalizzato e attuale, vorrei ricordare La bicicletta verde, di Haifaa Al-Mansour, una regista saudita: la storia di una ragazzina araba che afferma il suo diritto di giovane donna attraverso il sogno, proibito per quel contesto, di possedere una bicicletta».
TORINO, LA DANZA FUORI DAI TEATRI
Mi ricordo che da ragazzo mi colpiva, tra le sue molte, un’espressione usata da Adriano Dezan, il telecronista della mia infanzia e adolescenza passata davanti alla TV a guardare ciclismo: Dezan quando descriveva uno scalatore che scattava sul pedali e faceva ondeggiare sotto di sé, ritmicamente, come un pendolo, la propria bicicletta, diceva che andava “en danseuse”. Come una danza. Mi è sempre rimasto nella testa quell’espressione che associava due mondi apparentemente così lontani, come la danza e il ciclismo. L’ho raccontato, facendola sorridere, a Natalia Casorati, direttrice artistica di Interplay, Festival Internazionale di danza contemporanea (www.mosaicodanza.it) che dal 2001 porta la danza contemporanea fuori dai teatri e per i luoghi pubblici di Torino e dintorni.
«Ci occupiamo fin dagli anni Novanta di danza contemporanea, e delle nuove generazioni nazionali e internazionali. Da più di vent’anni, Interplay ha scelto di far arrivare lo spettacolo della danza nei luoghi più diversi: le piazze, i marciapiedi, i cortili, le vetrine, i centri commerciali, soprattutto in periferia della città. Questo per permettere a un pubblico non abituato a seguire la danza contemporanea di venire a contatto con questo fenomeno di espressione artistica. Ovviamente dall’anno scorso le restrizioni dovute alla pandemia ci hanno obbligato a restringere le nostre scene a contesti più ridotti e controllati, come i teatri e i foyer dei teatri». L’idea di Interplay è la stessa del ciclismo. Portare l’evento incontro allo spettatore, e non il contrario. «Sì, siamo stati tra i primi a promuovere in Italia la danza urbana, la danza fuori dai palchi, dai teatri. Solitamente il pubblico generico è un po’ spaventato dalla danza tradizionale, dal cosiddetto balletto. L’avvicinarlo in luoghi inconsueti è un modo per far capire molte altre cose. Il linguaggio del corpo sia centrale in questa forma di espressione artistica. I danzatori sono in fondo dei veri e propri atleti: il corpo di un danzatore deve essere continuamente allenato per consentire di realizzare determinate performance. Alcuni studi di medicina dello sport hanno messo in stretta relazione alcune patologie che accomunano atleti sportivi e danzatori: con la differenza che spesso, questi ultimi, salgono sul palco anche quando, nelle stesse condizioni, un atleta si ferma e recuperare dal trauma».
Natalia Casorati mi ha raccontato che non poche volte la bicicletta è stata uno strumento utilizzato per creare coreografie nella danza urbana. Ma la cosa che mi ha più incuriosito è stata sapere che Silvia Gribaudi, coreografa e performer di origine torinese, che quest’anno, il prossimo 19 maggio aprirà l’edizione 2021 del Festival, ha realizzato nel 2017 uno spettacolo intitolato R.OSA_10 esercizi per nuovi virtuosismi.
TORINO, LA MAGLIA ROSA AL MUSEO EGIZIO
Ma il Giro, e la maglia rosa, in questi giorni ha colonizzato addirittura il Museo Egizio. Infatti il più antico museo del mondo dedicato alla civiltà degli Egizi, ospita dal 7 al 30 maggio una Maglia rosa storica appartenente alla Collezione Chiapuzzo del Museo AcdB di Alessandria e appartenuta a un grande faraone del ciclismo di tutti i tempi: il Campionissimo Fausto Coppi (museoegizio.it). Il cimelio è collocato all’interno dell’esposizione temporanea Archelogia Invisibile, una mostra in cui alcuni manufatti contemporanei raccontano le loro “biografie” grazie agli strumenti di indagine materiale abitualmente impiegati nell’applicazione delle scienze all’egittologia, e in particolare nello studio dei reperti.
La curiosità ci ha spinto a chiedere qualcosa di più sull’accoppiamento forse poco giudizioso tra Giro d’Italia e Antico Egitto a Christian Greco, direttore del Museo Egizio. Greco, nel suo percorso di formazione di egittologo, ha vissuto a lungo a Leida, in Olanda. E questo è stato già un buon lasciapassare per introdurre l’argomento bicicletta: «La bicicletta credo sia la prima cosa che stupisce chiunque arrivi in Olanda. Quando esci dalle stazioni la prima cosa che vedi è una distesa infinita di biciclette. La prima cosa che feci in Olanda fu comprare una bicicletta: capii subito che era impossibile vivere lì senza andare in bicicletta. E devo ammettere che da quando sono tornato in Italia, a Torino, è la cosa che mi manca di più. Quando stavo in Olanda la bicicletta la usavo per andare al mare, a 30 km. Oppure all’Aia. Tutto percorrendo meravigliose e sicure piste ciclabili. Personalmente non vedo l’ora che anche Torino arrivi ad avere un centro come il centro di Leida, senza neanche una macchina. Peraltro Torino ha un centro storico molto piccolo e senza auto, coi mezzi pubblici e con la bici arriveresti dappertutto. Insomma, se mi metto nell’ottica “olandese” qui abbiamo ancora tanto da fare».
Per il momento il centro di Torino è stato invaso solo dal Giro e dal colore rosa. E allora ho chiesto a Christian Greco se il rosa era un colore conosciuto dagli antichi egizi. Mi ha risposto così: «Il colore rosa si trova nella resa delle maschere antropomorfe dei sarcofagi, oppure, e ne abbiamo un esempio molto bello al Museo, in pitture che risalgono al 1900 a.C. che ornano la tomba di un illustre personaggio, il responsabile dell’esercito del faraone: il dedicatario della tomba è rappresentato con un incarnato rosa che spicca a confronto con la rappresentazione degli altri personaggi di contorno, che sono raffigurati con la pelle molto più scura. Il “rosa” era quindi un segno di appartenenza a uno status sociale più alto».
E azzardando ancora paragoni tra faraoni e campionissimi, e anche in funzione del fatto che ogni giorno, insieme ai miei amici di Bidon-Ciclismo allo stato liquido – Leonardo Piccione, Filippo Cauz e Michele Polletta – al seguito del Giro registro un podcast che, guarda caso s’intitola GIROglifici. Una corsa da decifrare, ho chiesto a Christian Greco se nella cultura materiale egizia c’è un oggetto che ricorda il “bidon”, la borraccia del ciclismo: «Certamente. Tra i reperti in mostra al Museo esistono delle fiaschette che servivano al trasporto dell’acqua: ne abbiamo nelle tombe di Ka, scriba reale, responsabile delle opere del faraone, e di Merit, sua moglie, che risalgono a 1350 a.C. circa. Ka era una sorta di direttore dei lavori nella Valle dei Re, dove si scavavano tombe nella roccia e venivano decorate. Aveva fiaschette in cui veniva conservata l’acqua per il tragitto dal villaggio al cantiere. Queste stesse fiaschette avevano però anche un valore simbolico, e beneaugurale. Venivano infatti donate durante le festività del nuovo anno, che coincideva, nell’Antico Egitto, nel pieno dell’estate quando le acque del Nilo inondavano la valle, dando nuova fertilità alle terre. Su quelle fiaschette [ma a me viene da chiamarle borracce] si scriveva in caratteri geroglifici la frase beneaugurale di “buon anno”».
Bevo anch’io dunque un sorso dalla fiaschetta dello scriba reale Ka e auguro un buon inizio Giro a Torino, e a tutte le voci che lo salutano dalla partenza.
Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa.
I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.