Si intitola “Medea ritrovata” la mostra allestita fino al 6 settembre presso l’Università degli Studi della Tuscia a Viterbo. “Ritrovata” perché è incentrata su un vero e proprio ritrovamento: quello di una scena del famoso film scritto e girato da Pier Paolo Pasolini nel 1969. Una scena tagliata, perduta, peraltro girata in un luogo totalmente diverso da quello delle altre riprese della pellicola.

La storia parte dalla Cappadocia, in Turchia. Qui dal 2006 un team dell’Università della Tuscia, guidato dalla storica dell’arte Maria Andaloro, lavora da anni sul prezioso patrimonio rupestre, restaurando con perizia e attenzione i preziosi dipinti murali delle chiese scavate nella roccia. Andaloro, negli anni, diventa una profonda conoscitrice della regione. E amando molto Pier Paolo Pasolini, si dedica a identificare ogni sito delle riprese di Medea: il regista aveva infatti scelto la Cappadocia per rappresentare la mitica Colchide, patria di Medea. La ricerca è stata mostrata al pubblico in una originalissima mostra, allestita nel 2022 tra i pinnacoli tufacei di Göreme e Uçhisar, dove ogni fotografia di scena è stata mostrata al pubblico nello stesso luogo dove Pasolini aveva girato le scene (“Parlami, Terra! - Medea in Cappadocia con Pasolini e Maria Callas”, realizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Istanbul e dalla Missione di ricerca e restauro dell’Università della Tuscia in Cappadocia, ideazione e progetto di Maria Andaloro, a cura di Maria Andaloro, Salvatore Schirmo, Gaetano Alfano). 

Non stupisce quindi che Andaloro e il suo team, nella loro ricerca, si accorgono di qualcosa di strano: alcune fotografie di scena del film non solo corrispondono a una scena tagliata, ma non sono state neppure girate in Cappadocia. “Analizzando prima una decina di foto di Mario Tursi, il fotografo di scena di Medea, poi consultando oltre 100 immagini in bianco e nero e 7 a colori sempre di Mario Tursi, riferibili a questa scena e conservate nell’Archivio Enrico Appetito, abbiamo individuato il soggetto e la composizione, ricostruito i nuclei tematici, li abbiamo assemblati e, infine, ‘rimontati in sequenza” spiega Andaloro. “La scena “ritrovata” ha come soggetto un sacrificio umano, in particolare, un’uccisione rituale alla Luna. Solo che qui, per la prima e unica volta, la Colchide non ha le fattezze aspre e potenti della Cappadocia ma eccezionalmente quelle elegiache, anzi ‘ariostesche’ delle Cascatelle di Fosso Castello a Chia, nella Tuscia viterbese. Tagliata dal montaggio finale del film, condotto da Nino Baragli e dallo stesso Pasolini, non sono noti ritagli di pellicola che la riguardino”. La consultazione, poi, del Diario manoscritto di Beatrice Banfi, segretaria di edizione del film Medea (Il Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna), ha provato la conformità dei nuclei e della sequenza individuati a quelli delle riprese e confermato l’identificazione della scena “ritrovata” con la scena 14 del Trattamento.

Il ritrovamento è significativo. “Medea è un film scritto e girato da Pier Paolo Pasolini nel 1969, in un anno fra i più fervidi della sua inesausta vitalità operosa” continua Andaloro. “Per sua stessa ammissione, è quello che più lo rappresenta, il più autobiografico sotto il profilo intellettuale, dove ha “affrontato direttamente, esplicitamente” il tema che afferma essere il suo per eccellenza, il conflitto fra due mondi, quello rappresentato da Medea, “eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso”, e quello di Giasone, l’eroe di un “mondo colto, borghese storico”.

Nella mostra a Viterbo tredici foto in bianco e nero di grande formato sospese alle catene lungo i tre bracci del chiostro rinascimentale sfilano sopra le teste del visitatore man mano che avanza nel percorso della mostra. “Non è un’esposizione di fotografie ma la presentazione della scena di un film perduta, ritrovata e qui appunto presentata tramite le foto che la documentano, scena che meglio si rivelerà andando incontro alle inquadrature fissate nelle foto sospese, passo dopo passo, come a incorporare la memoria del movimento che è congenito alla natura del film” spiega Andaloro. Con le tredici foto sulle catene dialogano gli otto totem che le identificano e ampliano, di volta in volta, ogni nucleo e sotto-nucleo tematico con un corredo integrativo di foto e di testi esplicativi. Chiudono il percorso due foto accostate, l’una, con l’offerta alla Luna della testa della vittima immolata, appartenente alla scena “ritrovata” di Medea (1969), l’altra, con il Battesimo di Cristo, tratto dal film Il Vangelo secondo Matteo, girato da Pasolini nel 1964. In questo dittico, dove evidente è l’identità di luogo, le Cascatelle di Fosso Castello a Chia, Pasolini continua a rendere, attraverso le inquadrature delle scene e a distanza di anni, l’incanto e la poesia di questo paesaggio.

Segue in un secondo chiostro la sezione “Fra la Cappadocia e la Tuscia con Pasolini e Maria Callas”, un percorso che prevede uno sguardo curioso sul set di Medea, uno sguardo partecipe su Pasolini dolente per le sorti del paesaggio in Tuscia e in Cappadocia e infine una “visita” alla Missione di ricerca e restauro dell’Università della Tuscia in Cappadocia. Il percorso si conclude nella Saletta proiezioni con la visione di alcuni video. Uno dei video è stato realizzato sulla base delle foto di Tursi, restituendo “il fantasma” dell’uccisione rituale alla Luna – la scena tagliata e mai più ritrovata.

INFORMAZIONI

Medea ritrovata, fra la Cappadocia e la Tuscia con Pasolini e Maria Callas
Viterbo, Università degli Studi della Tuscia, via Santa Maria in Gradi 4
Fino al 6 settembre 2024
Progetto e ideazione di Maria Andaloro; a cura di Maria Andaloro, Gaetano Alfano, Paola Pogliani, Valeria Valentini