Si è conclusa domenica 5 maggio la sessantunesima edizione del Trentofilmfestival ed è già ora di trarre un primo bilancio. Il giudizio è come sempre positivo: l'evento è stato anche quest'anno ricchissimo e spettacolare. Praticamente dieci giorni con la montagna protagonista a tutto tondo, merito di una organizzazione consolidata che vede nel presidente del Festival Roberto De Martin e nel direttore Luana Bisesti i suoi pilastri e artefici principali. Impossibile citare tutto ciò che è successo; ci limiteremo quindi a citare qualche passaggio significativo come le presenze sul palco di personaggi come Philippe Daverio, Erri De Luca, Reinhold Messner, Norman Dyhrenfurth, Mauro Corona, Mick Fowler, Maurizio Nichetti, tanto per citarne alcuni, che hanno animato molte serate spettacolari.
Ma il festival è soprattutto cinematografico e allora cominciamo con i film. “Chi ha vinto?” è la domanda che mi fanno appena torno a casa. E come succede spesso sono costretto a rispondere: “Chi non se lo meritava”. E' successo anche quest'anno. Il Gran Premio Città di Trento, la Genziana d'oro, è andata a Expedition to the end of the world, di Daniel Dencik, racconto di un epico viaggio a bordo di una goletta tra i ghiacci del nordest della Groenlandia. Film originale senz'altro, emotivamente scaltro, ma non certo da premio assoluto. Peggio ancora il giudizio sull'altra Genziana d'oro, il premio del Cai andato al miglior film di alpinismo o di montagna. Se lo è accaparrato Pura vida, di Pablo Iraburu. È il racconto di come un gruppo di forti scalatori internazionali si mobilita per andare a salvare un amico bloccato a 7mila metri sulla via di salita all'Annapurna. Non è un film di alpinismo: le riprese sono fatte in città, sono le interviste ai componenti del gruppo di soccorso. La montagna è sullo sfondo. E l'amico, per di più, non ce la fa. Al di là dei contenuti umani e del valore dato all'amicizia, il film è una grande delusione.
Per fortuna i film belli c'erano. Di alpinismo, ma anche di esplorazione , di avventura e a soggetto. Ma la giuria internazionale non li ha considerati. Intanto Hiver nomade, che molti indicavano come il probabile vincitore è rimasto a bocca asciutta. Si tratta di un lavoro girato da Manuel Von Stürler che racconta la lunga transumanza invernale di 600 km nella pianura svizzera romanda di un gregge di pecore; è un film di avventura che ci fa scoprire professioni ancora vive di un tempo che fu, oggi sempre più difficili da realizzare. Peccato.
Tra i film di alpinismo c'erano diverse cose buone. A partire dal film The summit che ricostruisce la drammatica stagione del 2008 sul K2 dove 11 alpinisti dopo aver raggiunto la vetta muoiono. Per fortuna poi che esiste ancora il Premio Mario Bello del Centro di cinematografia del Cai; questo premio, uno dei più antichi del Festival, come è stato ricordato dal vicepresidente del Centro, cerca di rendere onore a un pregevole episodio alpinistico, che sia spedizione o scalata.. Ebbene il premio è andato a Exposed to dream di Sandro Filippini, collega giornalista della Gazzetta dello Sport, film che racconta la rinuncia all'impresa da parte di Simone Moro all'Everest per colpa dell'intasamento della via normale causata dal numero incredibile di alpinisti organizzati da agenzie senza scrupoli. Notevoli anche i film Two on K2 di Danusz Zaluski, Rock in Cuba di Vladimir Cellier e I Core, my climbing family, di Angelo Poli; nonché quello sulla vita alpinistica di Messner. Merita una menzione a parte anche il film Il guardiano di stelle, di Giuseppe Brambilla, incentrato sulla figura di Oreste Forno, già fortissimo alpinista degli anni Novanta, che oggi è un guardiano di una diga nella lombarda Valle dei Ratti. Qui c'è il tempo per meditare in solitudine a tu per tu con boschi e rocce... e le stelle.
Sempre più importante al festival anche la parte letteraria ed editoriale. Oltre alla rassegna Montagnalibri sotto il gran tendone allestito in piazza Fiera, sotto le poderose mura della città, da segnalare che è tornato, dopo un anno di pausa, il premio letterario Itas, dell'Istituto trentino per le assicurazioni; ha vinto il libro di Mario Casella Nero-Bianco-Nero, edito da Gabriele Capelli editore. Innumerevoli poi le presentazioni di buoni libri, tra cui segnaliamo l'ultimissima opera di Mauro Corona, dal titolo Confessioni ultime. Il Gruppo italiano scrittori di montagna ha tenuto l'incontro annuale trentino affrontando il tema La poesia di montagna incontra la musica, dove alle letture di liriche dei poeti Spiro Dalla Porta, Irene Affentranger e Paola Loreto, si sono alternati brani musicali di Beethoven e Brahms eseguiti dai musicisti torinesi Chiara e Giovanni Bertoglio.
Concludiamo su uno degli eventi più attesi, che si è consumato nella serata del 2 maggio: la celebrazione dei 150 anni del Club alpino italiano. In sala schierato, ovviamente, tutto l'establishment dell'associazione. Il Festival ha affidato l'incarico di gestire la serata a un professionista di vaglia, il già direttore del Festival Maurizio Nichetti. Ebbene, la serata, nonostante gli indispensabili e pregevolissimi intermezzi musicali eseguiti da un'orchestra diretta dal maestro Mario Casillo e da un bravissimo trio vocale, è stata assai deludente per i contenuti relativi proprio alla storia del Cai. Partito bene con gli anni della fondazione, da Quintino Sella in poi, il copione ha retto fino alla prima guerra mondiale. Poi il “quasi” nulla. Nemmeno un cenno all'epopea del Sesto grado degli anni Trenta, completamente ignorati nel secondo dopoguerra gli anni di presidenza del Cai di personaggi come Renato Chabod e Giovanni Spagnolli; non una parola sulla nascita del Soccorso Alpino, non un cenno sulla svolta epocale del Cai negli anni Ottanta verso l'escursionismo e nemmeno su manifestazioni che hanno coinvolto l'intero Paese come le due edizioni del Camminaitalia. Forte imbarazzo tra gli stessi dirigenti del Cai per un evento non riuscito del tutto.
Per il resto tutto nella norma con il solito, strabordante, successo di pubblico. Tra qualche settimana va già in cantiere la 62a edizione.