Un febbraio mozzafiato, quello che si sta vivendo in Pianura padana. Un febbraio che pare più non essere un mese invernale, ma una parentesi sul calendario poco definibile. Le mattine sono tiepide e umide, si smette la lana per il cotone e chiusa la porta di casa ci si infila in una luce densa e lattiginosa, spessa di un’aria quasi irrespirabile. Certo i tramonti sono di un rosso vivo, magari visti in coda dalla tangenziale e i ciliegi già fioriscono nei giardini condominiali… ma a quale prezzo?

La Pianura padana è una delle aree più inquinate al mondo. Lo si sa da molti anni, lo si avverte sulla pelle, nella gola e fin giù nei bronchi e l’irritazione prende forma nelle immagini realistiche dei satelliti che mostrano una lingua rossa stesa tra le Alpi e gli Appennini. Una sorta di incendio che si autoalimenta e che per paradosso si potrebbe attenuare solo con frustate di vento e secchiate d’acqua.

I numeri più recenti spiegano meglio le immagini satellitari. Il 18 febbraio a Milano sono stati superati i 100 microgrammi per metro cubo, a Torino i 77 microgrammi per metro cubo e le cose non sono andate meglio ad Asti (91), Brescia (87), Bergamo (83) e Piacenza (96).

La legge italiana accoglie la direttiva europea 2008/507CE secondo cui il PM10 non deve superare i 50 microgrammi per metro cubo in media in una giornata e che il dato medio annuale non superi i 40 microgrammi al metro cubo, per un massimo di 35 volte in un anno.

Lasciando con qualche riserva l’analisi delle soluzioni alle politiche pubbliche e alle scelte private, proviamo ad affidarci alla divulgazione scientifica per mettere in fila le cause principali del mal d’aria che affligge il nord Italia.

Una manifestazione per l'aria a Milano, Bastioni di Porta Venezia / Shutterstock

LA GEOGRAFIA DELLA PIANURA PADANA

Il settentrione è chiuso tra l’arco alpino e quello appenninico. L’unica apertura di questa stanza soffocante è a est, dove in fondo si apre l’Adriatico. Alla Pianura padana manca quindi la “doppia esposizione”, perché a ovest andrebbe buttato giù un pezzo di Alpi tra il Piemonte e la Liguria per fare girare l’aria. Come se per respirare meglio dovessimo rinunciare a un Monviso qualsiasi, o un Cervino qualunque.

Alla scarsa circolazione si aggiunge il fenomeno dell’inversione termica. In inverno sulle Alpi e le Prealpi quando il sole batte le temperature medie sono spesso più alte di quelle registrate in pianura. Questo impedisce all’aria densa e inquinata di risalire nell’atmosfera, con la conseguenza di un ristagno prolungato di aria inquinata a bassa quota.

Torino e le Alpi sullo sfondo / foto Shutterstock

UN’AREA URBANIZZATA SENZA SOLUZIONE DI CONTINUITÀ

Ad alimentare di sostanze inquinanti l’enorme bacino alluvionale padano sono ovviamente le attività dell’uomo, dal riscaldamento residenziale, al traffico dei veicoli e ovviamente, e per grande parte, le emissioni nocive della produzione industriale.

La pianura padana è tra le aree più densamente abitate d’Europa, una sorta di città diffusa che occupa il 13% del territorio nazionale, ma in cui vive il 30% del numero di abitanti sul suolo italiano.  Persone che vivono in città sempre più affollate, in un tessuto industriale e commerciale che contribuisce a più della metà del Pil nazionale. Una mole di merci che si devono movimentare di continuo, di capannoni che si riscaldano, di impianti accesi, fumi che anneriscono l’aria.

MIlano, palazzi di recente costruzione a Santa Giulia / Shutterstock

PARTICOLATO E GAS, NEMICI PUBBLICI

Le sostanze che rappresentano un pericolo per la nostra salute sono molte. Le micropolveri (Particulate Matter) sono sostanze sospese nell’aria con un diametro fino a mezzo millimetro, Più il particolato è piccolo, con più facilità penetra nell’organismo, facendo danni dalle alte alle basse vie respiratorie, fino ad arrivare in forma di micron a pervadere la circolazione sanguigna.

Seconda minaccia? I gas, come l’ozono prodotto da varie reazioni che riguardano anche il biossido di azoto, scartati in gran parte dai motori termici alimentati a diesel. A cui si aggiungono i composti dello zolfo, gli idrocarburi policiclici aromatici, il monossido di carbonio (CO) e l’anidride carbonica (CO2).

Milano, il Duumo sullo sfondo / Shutterstock

IL PROBLEMA DELL’INDUSTRIA ZOOTECNICA

A questo mix potenzialmente letale si aggiungono le emissioni di ammoniaca. Negli allevamenti intensivi vengono stipati migliaia di animali. Senza entrare nella questione gigantesca dello spreco di acqua e mangimi per nutrirli, l’elemento disperso in aria è l’ammoniaca, contenuta nelle loro deiezioni. L’ammoniaca nell’aria reagisce, e forma a sua volta particolato fine. Quindi quando pensiamo a una etica del cibo, dobbiamo pensare che a pagare per un consumo irresponsabile non sono solo gli animali, ma anche noi, per quello che mettiamo nel piatto e per quello che stiamo respirando. Ognuno di noi può fare qualcosa, rinunciare a qualcosa di inutile e scegliere di pensare che non tutto è perduto.

Un allevamento intensivo / Shutterstock

RESPIRAMI

A Milano dal 29 febbraio al 1 marzo è in programma il seminario internazionale RespiraMi con oltre 200 scienziati internazionali mentre il giorno seguente una serie di associazioni scenderanno in piazza per chiedere "aria pulita". Come ha suggerito il Fiorello nazionale, durante la Fashion Week ci toccherà respirare a “giorni alterni”, in attesa della pioggia.