«Le montagne sono alte, e l’imperatore è lontano». È un antico proverbio cinese che dice di come, in quel Paese sterminato, le periferie siano sempre state per forza di cose un po’ più autonome rispetto al potere centrale, ben radicato a Pechino. Un proverbio che oggi andrebbe rivisto, specie se si parla dello Xinjiang, la provincia a statuto autonomo che si trova all’estremo nord ovest della Cina, praticamente in Asia Centrale. Perché l’imperatore – che oggi si chiama Xi Jinping – sarà pure distante 2778 chilometri, quanti sono quelli che separano Pechino da Urumqi capitale della provincia, ma le montagne sono diventate di colpo piuttosto basse. 

Un accampamento di gher in cemento, usate per alloggiare i turisti – foto Shutterstock
Un accampamento di gher in cemento, usate per alloggiare i turisti – foto Shutterstock

Così basse che la zona un tempo considerata pericolosa neanche fosse l’Afghanistan (con cui comunque confina) oggi come racconta la Bbc è invasa da milioni di turisti: ben 300 milioni nel 2024, il doppio rispetto al 2019. La stragrande maggioranza sono turisti interni, visto che lo Xinjiang – parola che in cinese vuol dire “Nuovi territori” – è ancora relativamente fuori dai percorsi dei turisti occidentali che – facilitati dalle nuove politiche che non prevedono i visti anche per tutto il 2026 – nell’ultimo anno hanno riscoperto la Repubblica Popolare. 

Un mercato tradizionale a Kasghar, che i cinesi chiamano Kashi. I volti sono quelli della minoranza uigura– foto Shutterstock
Un mercato tradizionale a Kasghar, che i cinesi chiamano Kashi. I volti sono quelli della minoranza uigura– foto Shutterstock

Turisti attratti dai paesaggi sovrumani di questa zona di deserti immensi – il tremendo Tamaklan, il deserto del non ritorno attraversato da Marco Polo nel suo lungo viaggio – e vette altissime, come il Kungur e Mutztagata che superano abbondantemente i settemila metri, o il versante cinese del K2. Ma anche dalle antiche città carovaniere che si trovano in questa parte dell’antica Via della Seta, posti come Kashgar con il suo mercato della domenica, Turpan e la remota Taskhurgan, che si trovano lungo la Karakorum Highway, la superstrada che mette in comunicazione Cina e Pakistan, scollinando sul passo più alto del mondo, il Khunjerab, a 4693 metri. 

Nuove strade si addentrano nel deserto del Tamaklan, il deserto del non ritorno – foto Shutterstock
Nuove strade si addentrano nel deserto del Tamaklan, il deserto del non ritorno – foto Shutterstock

Certo, viene da chiedersi quanti di questi quasi 300 milioni di turisti cinesi vada nello Xinjiang per avvicinarsi alla cultura uigura, quella della minoranza musulmana – poco più di 10 milioni di persone, divenuta minoranza nella propria terra (sono il 42%) dopo il massiccio afflusso di immigrati dal resto della Cina – che parla una lingua turca, così distante dal mandarino parlato dalla maggioranza dei cinesi, di etnia Han. Una cultura che negli ultimi 30 anni è stata sempre più marginalizzata e criminalizzata dal governo centrale, specie dopo la nascita di un movimento separatista che ha portato Pechino a usare il pugno di ferro sulla minoranza uigura. Sperimentando moderni metodi di controllo tecnologico, mischiati a una repressione vecchio stampo, che a un certo punto ha portato quasi un milione di uiguri a venir rinchiuso nei centri di rieducazione, sottoposti a un processo di sinizzazione. Tutte cose che i 300 milioni di turisti cinesi, cullati nei loro nuovi lussuosi alberghi, difficilmente vedranno.

La statua del grande timoniere Mao domina ancora la grande piazza di Kasghar – foto Shutterstock
La statua del grande timoniere Mao domina ancora la grande piazza di Kasghar – foto Shutterstock
Una delle moschee di Urumqi, ricostruite di recente – foto Shutterstock
Una delle moschee di Urumqi, ricostruite di recente – foto Shutterstock