Riportiamo l'incipit di "La Regina delle Vie", articolo contenuto in "MAPPE Roma eterna Futura" (dal 25 aprile 2025 in tutte le librerie, nei Punti Touring e online sul nostro store). Un dialogo tra Paolo Rumiz, scrittore che l’ha riscoperta e percorsa in una seguitissima spedizione, e Simone Quilici, direttore del Parco archeologico dell’Appia antica, per parlare di valorizzazione, potenzialità e progetti in corso

«Ero un po' preoccupato per quella prima tappa. Il nostro compito era percorrere tutta l’Appia a piedi, da Roma a Brindisi, e in quel tratto in città, con i pini e tutti quei monumenti a guardarti mentre cammini sull’antico basolato, il rischio era che ci mettessimo tre, quattro giorni, anziché uno. Un tratto impareggiabile, si ha l’impressione di essere in un luogo dove il mondo antico ci guarda». A raccontare le sue sensazioni sull’Appia antica è Paolo Rumiz, lo scrittore che nel 2015 ha ripercorso a piedi tutta la strada in una spedizione confluita nei reportage per La Repubblica e nel libro-testimonianza Appia. «D'altronde, l’Appia era la grande promenade di accesso a Roma, il luogo dove celebrare ingressi trionfali, come poi fecero anche alcuni generali nella Seconda guerra mondiale. E ricordo anche la mia personale scoperta di come i Romani avessero sfruttato, per la costruzione della strada, l’enorme colata lavica che scende dall’Urbe verso sudest. Il basolato su cui camminavamo veniva da quella stessa lava. Ed era indistruttibile. Un’abilità non solo edilizia, ma proprio di aderenza alla tellus, alla parte più solida della terra. Un altro elemento che rende l’Appia così speciale».

Paolo Rumiz

La storia inizia oltre duemila anni fa. Era stato il censore Appio Claudio Cieco ad avere l’idea di prolungare fino a Capua la strada che collegava Roma ai Colli Albani. Nel 312 a.C., durante le guerre contro i Sanniti, Roma stava faticando a sottomettere i popoli italici attorno alla città. In meno di cent’anni, quella strada diventò una direttrice di oltre 650 chilometri che portava a Brindisi. «Ovvero si protendeva verso sudest» sottolinea Simone Quilici, direttore del Parco archeologico dell’Appia antica. «Verso la Grecia, culla della civiltà adottata dai Romani. La chiamarono loro stessi Regina Viarum, e non solo per la straordinaria opera di ingegneria – i lunghi rettifili consentivano il rapido spostamento delle truppe sui luoghi di battaglia – ma anche perché era la strada del commercio e soprattutto della cultura. Tanto che le tracce elleniche lungo l’Appia sono davvero tante». «A me, camminandola, ha stupito tantissimo la concezione dello spazio che avevano i Romani» replica Rumiz. «Credo che nella fase della conquista dell’Italia si sentissero in qualche modo indifesi nell’attraversamento delle foreste: avevano bisogno di vederci chiaro intorno, di non rischiare imboscate. Così, invece di seguire il crinale dei monti, avevano preferito bonificare e solidificare i terreni paludosi tra i Colli Albani e Terracina, dove l’Appia si spiega in una fucilata di 70 chilometri tutti diritti. Un’opera eccezionale, che seguiva evidentemente un’idea geometrica dello spazio: uno spazio che andava diviso a settori per essere misurabile, per sfuggire all’indefinito, all’indistinto».

Un tratto della La Via Appia / foto Shutterstock

Dieci anni fa quella di Rumiz fu una spedizione avventurosa, al limite del picaresco: seguire l’antica traccia non era facile, l’Appia spesso non era più visibile, stravolta dalla storia, ricoperta da secoli di incuria, nessuno si era più preoccupato di renderla percorribile. «Mi ero imbattuto nell’Appia da ragazzo – racconta Rumiz – leggendo la Satira V di Orazio, in cui narra in modo molto colorito la sua traversata a piedi da Roma a Brindisi portata a termine con vari mezzi, un piccolo traghetto, a cavallo, in carrozza. Da lì è nata l’idea di rifare quel viaggio, capire quanto di quelle esperienze, di quei luoghi di sosta, di quelle taverne, era ancora evocabile. E devo dire che da camminatore, da sognatore di viaggi, da esploratore che ha girato mezza Europa, quel cammino è stato qualcosa di speciale. Il Cammino di Santiago finisce sull’oceano e poi non porta da nessuna parte, non ti suggerisce l’altrove, anche perché l’altrove ai tempi di San Giacomo era sconosciuto. Arrivare a Brindisi, invece, significa sapere che poi la via continua in territorio albanese, poi in Grecia, poi a Costantinopoli, dove inizia un’altra strada che porta nell’Asia profonda. Se hai in mente questa mappatura dello spazio, già a Roma senti il profumo d’Oriente. Ci sono numerosi punti in cui percepisci le legioni e anche il passaggio delle grandi religioni monoteiste: nel Mitreo di Santa Maria Capua Vetere avverti un brivido che arriva da terre molto più lontane. E poi c’è questa direzione maestra, sud-sudest, che è sinonimo di baricentro del Mediterraneo per la nostra penisola, posizione di cui siamo molto poco consci».

Mappe 05 - Roma eterna futura - Touring Club Italiano

Per continuare a leggere La regina delle strade, acquista Roma eterna futura!

Il quinto numero di MAPPE, intitolato Roma eterna futura, è in vendita a 19,50 euro. Lo puoi trovare: