“Dimmi cosa mangi e da dove viene” racconta Julian Baggini, autore di “Pensa come mangi”, primo volume della nuova collana Arcipelago del Touring Club Italiano. Il filosofo e scrittore britannico spiega che quel “da dove viene”, non è una questione puramente di origine geografica, ma sottintende una gran quantità di domande assolutamente necessarie quando parliamo di cibo, domande che però non ci facciamo mai: chi l’ha prodotto e in che condizioni? Quanto è inquinante la sua produzione? Quanto è stato trasformato? Quante calorie contiene? Quanto è salutare per noi e per l’ambiente?». Per non parlare poi di quanto il cibo incida sui nostri corpi e sulla nostra salute». Domande cui risponde Baggini, costruendo una ambiziosa quanto necessaria filosofia del cibo.
Baggini non è l’unico a farsi domande e dare risposte sul tema. Qualche dato utile a trovare le proprie coordinate nel mondo sempre più complesso dell’alimentazione contemporanea arriva ogni anno anche dal report annuale di Legambiente. Si chiama “Stop pesticidi nel piatto” ed è un’indagine che grazie a un’analisi di dati forniti dalle Regioni e da enti specializzati, arricchita da contributi scientifici, punta a comprendere l’impatto delle sostanze chimiche di sintesi sugli alimenti che consumiamo
Prodotti chimici e le possibili alternative, dal campo alla tavola
Il cuore del dossier si concentra sul profondo legame tra l’uomo e l’agricoltura. Un legame che, se un tempo era intimamente legato alle caratteristiche naturali del territorio, è stato stravolto dalla rivoluzione verde. Questo cambiamento ha trasformato un’agricoltura tradizionale e sostenibile, focalizzata sulla qualità, in un modello dominato dall’uso intensivo della chimica e dalla ricerca di rese elevate, per rispondere alle crescenti esigenze di una popolazione mondiale in continua espansione. Negli ultimi anni, inoltre, l’agricoltura ha dovuto fare i conti con eventi climatici estremi — come siccità, alluvioni, grandinate e gelate improvvise — che hanno avuto impatti devastanti sul settore.
Su 5.233 campioni di alimenti analizzati, provenienti sia da agricoltura convenzionale che biologica, emerge una percentuale di irregolarità pari all’1,3%. Una cifra contenuta ma non di certo rassicurante. Il 41,3% dei campioni, infatti, presenta tracce di uno o più residui di fitofarmaci. Di questi, il 14,9% è classificato come monoresiduo, mentre il 26,3% rientra nella categoria multiresiduo, sollevando preoccupazioni significative. Infatti, la presenza di molteplici residui in un unico alimento può generare effetti additivi e sinergici, con potenziali danni per la salute umana.
Tra gli alimenti più colpiti spicca la frutta, con il 74,1% di campioni contaminati da uno o più residui. Seguono la verdura (34,4%) e i prodotti trasformati (29,6%), con i peperoni (59,5%), seguiti da cereali integrali (57,1%) e dal vino (46,2%). L’uso di insetticidi e fungicidi, come Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil e Imazalil, resta prevalente, evidenziando quanto la protezione delle colture sia ancora fortemente legata a sostanze chimiche di sintesi. Importante sottolineare il caso dell’Imazalil, il cui LMR nel 2019, dopo essere stato classificato come probabile cancerogeno dall’EPA (Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti d’America), è stato abbassato a 0,01 mg/kg nelle banane e a 4 mg/kg per i limoni mentre per le arance e altri agrumi, è rimasto a 5 mg/kg. ma con l’obbligo di scrivere in etichetta “buccia non edibile”. Altri ritrovamenti risultano emblematici: un campione di peperoncini ha mostrato la presenza di ben 18 residui diversi, mentre in due campioni di pesche sono stati rilevati rispettivamente 13 e 8 residui.
OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA E VINO IN BUONA SALUTE
Eppure, non mancano segnali incoraggianti. Nel settore dei prodotti trasformati, l’olio extravergine di oliva si distingue con altissime percentuali di campioni privi di residui, a conferma della sua eccellenza e del rigore produttivo che caratterizza questa filiera. Anche il vino mostra un trend in positivo: il 53,1% dei campioni analizzati è risultato privo di residui, segnando un miglioramento rispetto al 48,8% dell’anno precedente. Piccoli ma importanti passi in avanti verso una maggiore sostenibilità e qualità. Nonostante ciò, il deterioramento registrato nel comparto della frutta nel 2023 racconta un’altra storia. Le condizioni climatiche, segnate da piogge abbondanti e temperature miti, hanno favorito la proliferazione di micopatologie, costringendo gli agricoltori a un uso massiccio di anticrittogamici per salvare i raccolti.
L’ALLARME PESTICIDI ILLEGALI
Altro dato allarmante è quello sui sequestri dei pesticidi illegali. Quasi raddoppiati nel 2023 i pesticidi illegali sequestrati in Europa: 2.040 tonnellate di veleni fuorilegge intercettati dall’Europol grazie all’operazione “Silver Axe”, sviluppata in Italia dai Carabinieri forestali. Impressionante l’escalation rispetto alla prima operazione fatta nel 2015, quando i sequestri dei pesticidi messi al bando in Europa per la loro pericolosità per la salute erano stati pari a 190 tonnellate. La Cina rimane il primo paese di origine di questi prodotti ma dalle indagini stanno emergendo traffici importanti dalla Turchia.
L’AGRICOLTURA CHE VOGLIAMO
Ridurre l’uso di fitofarmaci, non è più solo un obiettivo auspicabile, ma una condizione necessaria per salvaguardare l’ambiente, la salute umana e la qualità delle produzioni. Ricordando che l’agroecologia è l’unica via per tutelare gli ecosistemi e contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Buone pratiche come rotazioni, sovesci, consociazioni, abbinate all’uso di strumenti digitali e tecniche innovative, possono offrire un modello più sostenibile per il futuro del settore. “Il quadro che emerge dai dati è preoccupante – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente -, ma allo stesso tempo rappresenta un’opportunità per riconsiderare il nostro modello agricolo. La mancata adozione sia del Regolamento europeo sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (SUR) che di un nuovo Piano di Azione Nazionale (PAN), fermo alla versione del 2014, è un freno inaccettabile per il processo di transizione verso un’agricoltura più sicura e sostenibile”.